L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione

di Simona Lancioni
«Ci sono decine di migliaia di casi – scrive tra l’altro Simona Lancioni, commentando l’intervista al professor Paolo Cendon sull’amministrazione di sostegno, pubblicata sulle nostre pagine – a documentare che in sede applicativa della Legge sull’amministrazione di sostegno le cose non stanno funzionando come dovrebbero e che le modalità sostitutive vengono tranquillamente impiegate per attuare abusi e violenze di ogni tipo ai danni di persone in situazioni di vulnerabilità. E questo non è un effetto collaterale accettabile»

Particolare di persona con disabilità in carrozzina fotografata di spalleRingrazio a mia volta il professor Paolo Cendon per avere risposto all’intervista [la si legga a questo link, N.d.R.] curata dall’avvocato Salvatore Nocera, figura di riferimento dell’associazionismo delle persone con disabilità, soprattutto, ma non solo, in àmbito scolastico, e da chi scrive, Simona Lancioni, responsabile di un servizio informativo in materia di disabilità, Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, nonché curatrice, per il medesimo servizio, di una sezione tematica in materia di tutela giuridica (fruibile online al seguente link).

Sin dalla risposta alla prima domanda della nostra intervista il professor Cendon sembra discostarsi dal paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09. Egli, infatti, trova che sia sostanzialmente mal posta la nostra domanda «com’è stato possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si concretizzi, in decine di migliaia di casi, in una violazione dei loro diritti umani?». Ritiene che sia mal posta perché, argomenta, non è corretto affermare che lo scopo della Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, «fosse solamente quello di favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone» sottoposte a questo istituto giuridico. Infatti il professore, pur ritenendo questo aspetto importantissimo, considera che anche l’elemento della «protezione» rivesta un’importanza fondamentale. Dunque Cendon osserva che la Legge 6/04 per metà sia indirizzata all’«emancipazione e alla “fioritura” delle persone, ma per un’altra metà miri «a salvaguardare, a impedire che le persone precipitino in condizioni peggiori o pericolose».
Posto che l’amministrazione di sostegno si applichi ad una molteplicità di situazioni nelle quali l’aspetto della protezione può assumere una specifica valenza (penso, ad esempio, alle persone con dipendenze da sostanze e ludopatie, richiamate dallo stesso professore), trovo invece problematico che l’approccio della protezione continui ad essere applicato nei confronti delle persone con disabilità, perché in contrasto con l’articolo 12* (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della citata Convenzione ONU, nonché con le indicazioni esposte dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel Commento generale n. 1 del 2014, un testo elaborato proprio allo scopo di supportare gli Stati nella corretta applicazione dell’articolo menzionato. Infatti, l’articolo 12 della Convenzione ha istituito la capacità legale universale, vietando che ci si possa sostituire alla persona con disabilità. Esso prescrive quindi che i regimi decisionali sostitutivi siano aboliti e vengano disposti sistemi di supporto alle decisioni.

Le affermazioni di Cendon meritano un’attenta riflessione, perché se possiamo considerare plausibile che la Legge 6/04 – essendo stata promulgata prima della Convenzione ONU (che è del 2006), e dunque ovviamente prima che quest’ultima venisse recepita dal nostro Paese (nel 2009) – possa contenere un elemento paternalistico (la protezione) in contrasto con la capacità legale universale, non dovrebbe invece essere ammissibile che la medesima Legge 6/04 possa continuare ad essere intesa e applicata con modalità sostitutive, anche dopo l’entrata in vigore della Convenzione ONU.
Affermo ciò anche alla luce della raccomandazione rivolta al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ossia quella «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare a attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (punto 28 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU del 31 agosto 2016, grassetti miei).

Ma il professor Cendon non vuole intervenire sulla Legge 6/04 che ha contribuito ad elaborare, insiste sul tasto della protezione, non applicando dunque l’articolo 12 ed eludendo deliberatamente le indicazioni espresse in merito dal Comitato ONU. Nei fatti egli perpetua il paradigma che tratta le persone con disabilità come “oggetti da proteggere”, usando come argomentazione i “casi limite” – cita, ad esempio, quello della persona che non vuole pagare le bollette e si espone al rischio che le vengano sospese le utenze –, mentre in concreto la sostituzione nell’àmbito dell’amministrazione di sostegno non è applicata solo nei “casi limite”, né solo a scopo di protezione, ma viene frequentemente utilizzata con modalità coercitive, ad esempio, per istituzionalizzare le persone con disabilità contro la loro volontà; per spacciare Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) come volontari, sebbene siano autorizzati da terzi, e protrarli anche per anni o addirittura decenni (quando la disciplina del TSO li ammette per soli sette giorni); per praticare sulle donne con disabilità psicosociale contraccezioni e aborti forzati; per derubare le persone con disabilità dei loro averi; per rompere forzatamente legami affettivi significativi per le persone amministrate e isolarle dal mondo ecc. ecc. Di tutte queste situazioni Cendon non si occupa e non sembra avere risposte per loro, sebbene non si tratti di casi marginali: infatti, come accennato, riguardano decine di migliaia di persone.
Chi protegge queste persone dall’istituto che dovrebbe supportarle, ma ne viola di diritti? Nessuno! La norma non prevede tutele per queste situazioni, non è vero che sostituzione equivale sempre a protezione, in molti casi sostituzione equivale a coercizione e negazione del diritto all’autodeterminazione. La sostituzione è stata, e continua ad essere, lo strumento principe del paternalismo, dell’infantilizzazione, della prepotenza, dell’ingiustizia epistemica e, in definitiva, dell’abilismo che le persone con disabilità hanno sempre subìto e continuano a subire.
L’implicito disconoscimento dell’autorevolezza del Comitato ONU da parte di Cendon, a parere di chi scrive, esprime in modo plastico la fallacia della posizione assunta dal professore: egli si comporta come chi crede di sapere meglio delle persone con disabilità cosa sia meglio per le stesse persone con disabilità, e continua proporre lo stesso approccio di protezione anche quando un gruppo di esperti/e con disabilità perfettamente in grado di definire le politiche che le riguardano – il Comitato ONU – insiste nell’affermare e rivendicare con forza il proprio diritto all’autodeterminazione.

La mia impressione è che tutte le risposte fornite dal professore alle domande dell’intervista siano in qualche modo condizionate dalla sua convinzione che l’articolo 12 della Convezione ONU sia inapplicabile perché incapace di affrontare in modo adeguato i “casi limite”, e che sia proprio questa convinzione a portarlo a credere che tutte le iniziative volte a chiederne l’applicazione siano «illusorie o utopistiche».
Eppure anche la dottrina giuridica si sta sforzando di trovare soluzioni teoriche/applicative compatibili col dettato convenzionale. Ad esempio, ho trovato davvero interessante e ben argomentato il saggio La capacità legale universale come requisito indefettibile della libertà. Notazioni teoriche in un’ottica di riforma di Maria Giulia Bernardini, docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara (il saggio si trova alle pagine 343-369 del volume collettivo a cura di Ciro Tarantino, Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, Bologna, il Mulino, 2024. Il volume è liberamente fruibile a questo link).

Per questa ragione, e anche in considerazione del fatto che il professor Cendon è il coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili e che proprio in virtù di questo ruolo, la sua opinione ha verosimilmente un peso nella definizione delle politiche nazionali in materia di istituti di tutela, auspico caldamente che egli inizi ad interrogarsi sulla fondatezza della sua convinzione. Ci sono decine di migliaia di casi a documentare che in sede applicativa le cose non stanno funzionando come dovrebbero e che le modalità sostitutive vengono tranquillamente impiegate per attuare abusi e violenze di ogni tipo ai danni di persone in situazioni di vulnerabilità. Non si tratta di un effetto collaterale accettabile. Una modalità che permette questo semplicemente non può essere considerata una buona modalità né sotto il profilo giuridico, né sotto quello umano.
A ciò si aggiunga, ma non è un particolare secondario, che la Convenzione ONU è stata recepita dal nostro ordinamento giuridico e che dunque tutti i cittadini e le cittadine sono obbligati/e a conoscerla e ad impegnarsi per applicarla, anche quando, come in questo caso, trovare le soluzioni applicative si rivela un compito complesso.
Credo che la grande esperienza e le competenze del professore – che io stessa, pur avendo una posizione molto diversa dalla sua, non fatico a riconoscere –, sarebbero veramente preziose e importanti se utilizzate per dare applicazione all’articolo 12 della Convenzione ONU.

*Articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (“Uguale riconoscimento dinanzi alla legge”):
1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica.
2. Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita.
3. Gli Stati Parti adottano misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica.
4. Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone.
5. Sulla base di quanto disposto nel presente articolo, gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate ed efficaci per garantire l’uguale diritto delle persone con disabilità alla proprietà o ad ereditarla, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicurano che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà.

Sulla medesima intervista al professor Paolo Cendon si è pronunciato sulle nostre pagine anche Salvatore Nocera, con le riflessioni contenute nel testo intitolato Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e cosi” o decisamente male? (disponibile a questo link).
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