Continuiamo a presentare ai Lettori altre esperienze di persone con disabilità e con spiccato spirito di avventura, che amano viaggiare e affrontare situazioni anche scomode, pur di riuscire a raggiungere luoghi unici ed emozionanti per la natura o per l’arte e la cultura.
Dopo avere quindi raccontato i viaggi di Giampiero Griffo a Machu Picchu in Perù e nell’isoletta di Elephanta in India (se ne legga cliccando rispettivamente qui e qui), incontriamo questa volta Walter Cagno, torinese tetraplegico a causa della sclerosi multipla, esperto viaggiatore. Walter ha viaggiato il mondo in lungo e in largo. Di solito viaggia “in squadra”, con la ex moglie, con cui ha mantenuto ottimi rapporti, e con un nipote trentacinquenne che, a detta dello stesso Walter, ha un carattere d’oro, è affidabile e forte fisicamente. Oltre a loro, di solito c’è anche un assistente personale. In qualche viaggio qualcuno di questi elementi è mancato, in altri se n’è aggiunto qualcuno di nuovo.
Una caratteristica di Walter, in quanto viaggiatore, è quella di lasciarsi ispirare dal desiderio di esplorare. Sceglie mete più o meno lontane e trova di volta in volta i modi di aggirare almeno alcuni degli ostacoli dovuti a qualche inaccessibilità, per riuscire a vedere e a provare tutto quello che gli è possibile. Ascoltiamo i suoi racconti e facciamoci un po’ trasportare dalle sue esplorazioni.
Il senso di questi nostri particolari racconti di viaggio è sempre lo stesso: mostrare che anche luoghi lontani e diversi da quelli a cui siamo abituati possono essere visitati anche da persone con difficoltà motorie, purché ovviamente ne sentano fortemente il desiderio e abbiano capacità di adattamento, flessibilità e spirito di avventura. E naturalmente purché le limitazioni fisiche possano permetterlo.
Tunisia
Cominciamo dunque dall’Africa. Con chi sei andato in Tunisia? Sempre la stessa squadra? E per quanto tempo siete rimasti?
«Esatto, sempre la “stessa squadra”. Con me c’erano mia moglie e un assistente, un ragazzo venticinquenne tunisino che lavora per me a Torino. Siamo andati con lui a trovare la sua famiglia. Abbiamo affittato una macchina e abbiamo girato lo Stato. Era primavera, siamo rimasti una settimana».
Che ricordi hai?
«Due cose in particolare mi sono rimaste impresse. Ho visto una specie di “piccolo colosseo”, conservato in modo stupendo. Mi ha lasciato a bocca aperta. Sono riuscito a entrare perché l’ingresso era in piano e non c’erano scalini, poi ovviamente non ho potuto salire sulle gradinate, però le ho viste».
Un’altra cosa che ti è rimasta impressa?
«Sono stato nel deserto che, a differenza di altri deserti che ho visto, è il classico deserto dell’immaginario comune. Come vederlo disegnato in una favola. Un’esperienza bellissima. Mi hanno portato a vedere l’alba, emozionante».
Australia
Ti è piaciuto questo viaggio così distante da casa?
«È stata credo l’esperienza peggiore. Non per il continente in sé, ma per il mio vissuto».
Che cosa è successo?
«Mi sono appoggiato al tour operator Francorosso, ma almeno all’epoca non avevano competenze specifiche per i turisti con disabilità. In volo mi hanno fatto andare fino a Singapore e prima mi hanno organizzato un cambio di volo a Londra. Ora, se per la maggior parte delle persone il cambio di aereo è comunque una fatica in più, per una persona con disabilità è una considerevole fatica in più, tanto considerevole da doverla in tutti i modi evitare. Significa farsi alzare di peso, spostarsi dal sedile alla carrozzina, ritornare su un altro sedile. E significa allungare di diverse ore il viaggio, mettendo seriamente alla prova la già scarsa resistenza fisica. Tra l’altro avevo chiesto mi mettessero davanti e invece mi sono ritrovato in quarantasettesima fila. E sono riusciti a perdermi perfino la carrozzina. Un vero disastro. Tanto valeva arrangiarsi. Sono riusciti anche a prenotarmi un albergo nel posto sbagliato. Infine, ho dovuto cancellare un sacco di visite ed eventi che mi avevano organizzato perché per il mio ritmo e la mia resistenza fisica erano inaccessibili. Così ho concluso che il “turismo fai-da-te” richiederà grande impegno organizzativo, ma poi ha risultati più certi».
Quanto tempo sei rimasto in Australia?
«Quarantasette giorni tra i mesi di settembre e ottobre. Era il 2007».
Come hai scelto questa meta?
«Era un sogno che avevo da tanti anni. Però poi l’ho realizzato solo in parte. Quella volta mio nipote non c’era, non poteva venire, e il ragazzo che mi ha accompagnato non aveva per niente il suo spirito di avventura. Metteva un sacco di limiti. Comunque abbiamo girato l’Australia in lungo e in largo con un treno speciale che ricorda il famoso Orient Express e che da Adelaide porta fino all’altra parte dell’Australia. È completamente accessibile, anche i bagni lo sono, e c’è anche la cucina. Si mangia benissimo. Però ho lo stesso dormito in carrozzina perché spostarmi sul letto ogni notte in spazi comunque ristretti sarebbe stato troppo faticoso. Ho fatto fare una modifica alla carrozzina, grazie alla quale posso stare piegato a quaranta gradi ed è come se dormissi a letto, tanto comunque, indipendentemente da dove mi trovo, dormo supino perché non riesco a girarmi».
Ti sei sempre mosso in treno?
«No, abbiamo anche noleggiato una macchina e abbiamo percorso seicento chilometri in andata e altrettanti per il ritorno. Questo perché i bellissimi pullman non erano accessibili. A Torino invece sono abituato ad andare dappertutto in autobus perché tutti i pullman della Regione sono dotati di sollevatore. Riesco a salire perfino in tram».
Hai avuto modo di prendere un po’ di confidenza con l’Australia, avendoci trascorso così tanti giorni. Che impressione ti sei fatto rispetto alla situazione delle persone con disabilità?
«Ho qualche critica da muovere, a dire il vero. Non è che sia molto accessibile, in generale, e poi non c’è una sviluppata sensibilità al tema. Per dire, una volta il mio assistente è dovuto tornare in albergo perché avevo dimenticato una cosa e, per fare prima, non sono andato con lui. Sono rimasto una mezz’oretta fermo sul marciapiede e nessuno si è avvicinato per chiedermi come stavo e se andava tutto bene. In Italia entro dieci minuti qualcuno si sarebbe avvicinato. Di sicuro dove vivo, perché mi conoscono, ma non credo che sia per il fatto che mi conoscono. Credo ci sia una sensibilità più elevata da noi».
Camino di Santiago, Spagna
Tra tutte le esperienze di viaggio fatte finora, quale ti è rimasta di più nel cuore?
«Il Camino di Santiago: l’unica volta in vita mia in cui ho rimpianto di non avere le gambe».
Qui è opportuno spiegare ai Lettori che non lo sanno di che cosa si tratta. È un pellegrinaggio che si snoda attraverso la campagna spagnola fino alla città di Santiago di Compostela, dove la grande basilica accoglie i viandanti. Ancora oggi moltissime persone – e soprattutto moltissimi giovani – percorrono quel sentiero che è organizzato con delle tappe. Per ogni tappa c’è un ostello, dove è possibile dormire una notte soltanto, per poi proseguire il proprio viaggio. Ogni giorno si cammina per diverse ore, zaino in spalla. Il tempo dell’intero attraversamento è di circa un mese, ma ci si può ovviamente organizzare per un tempo più limitato.
Perché ti è piaciuto così tanto?
«È emozionante, indescrivibile. L’atmosfera è unica e indimenticabile. Io l’ho percorso per soli quattro giorni e mi ha fatto un effetto tanto potente, figurarsi chi ci rimane immerso per un intero mese. Io e quattro amici abbiamo macinato in quei quattro giorni ben centotrenta chilometri. A piedi. Cioè, loro si sono turnati a spingermi. Era la fine di agosto di pochi anni fa».
Si tratta di un viaggio accessibile?
«Dipende da come lo si organizza. Io ho volato fino a Madrid (dove tra l’altro mi hanno fatto scendere pericolosamente dai gradini dell’aereo, e per un attimo mi sono visto che volavo, ma poi per fortuna è andata bene) e poi da lì ho cambiato aereo per Santiago. Arrivati a Santiago siamo saliti in pullman (non era accessibile, mi sono fatto portare su di peso) e abbiamo percorso il Camino a ritroso per centotrenta chilometri».
Come avete trascorso le giornate?
«Non dormivamo negli ostelli, ma negli alberghi sulla strada vicina. Erano più o meno accessibili, nel senso che mi adattavo per quel che potevo. Quando vedevo che potevo entrare in camera con la carrozzina mi accontentavo. Ogni mattina si partiva e seguivamo la strada normale perché il sentiero è impossibile da fare in carrozzina. Però ogni tanto lo incrociavamo e c’era sempre un via vai di ragazzi, i viandanti. C’era un’atmosfera stupenda, ho fatto degli incontri bellissimi. Ogni giorno abbiamo marciato per circa sei, sette ore, l’ultimo poi abbiamo tirato per circa dieci, dodici ore durante le quali abbiamo macinato quarantasette chilometri. Davvero, un’esperienza fantastica. Vedere questa moltitudine di ragazzi di tutte le età, così diversi, ma con lo stesso spirito di amicizia e fratellanza, è indimenticabile. Non si percepivano più divisioni, sentivo che tutti avevano lo stesso spirito».
C’è un momento che ti è rimasto particolarmente impresso?
«Quando siamo arrivati a Santiago siamo andati a messa in Duomo. Ho visto un braciere gigantesco e otto persone che lo tiravano e lo facevano volteggiare. Molto suggestivo. E poi il paesino di Santiago è rimasto intatto com’era cinquecento anni fa. Vado spesso a Lourdes, dove l’aspetto commerciale è molto invadente, ma lo capisco. Però mi ha colpito il fatto che a Santiago il commercio ci fosse sì, ma mantenesse una certa discrezione».
Hai mai incontrato un’altra persona in carrozzina durante la marcia?
«No. Quando sono andato a ritirare l’attestato (perché per ogni giorno di marcia si riceve un timbro e alla fine li si porta tutti a Santiago per ricevere un attestato), è risultato che io ero stato il primo per quell’anno a fare tutti quei chilometri in carrozzina».
Messico
Qual è stato il tuo viaggio più recente?
«Lo scorso marzo sono andato una settimana in Messico».
Niente più viaggi lunghi come in Australia?
«No, direi che una settimana è un tempo buono. Fuori dormo male e dopo un po’ ne risento. Ho bisogno della mia casa».
Quali sono stati i tuoi compagni di viaggio?
«Sempre gli stessi, funzioniamo bene insieme. La mia ex moglie e mio nipote».
Qualche ricordo particolare?
«Le Piramidi del Sole e della Luna. Naturalmente era accessibile solo il percorso per raggiungerle. Poi mi sono fermato alla base, mentre i miei compagni sono saliti fino in cima. C’erano tantissimi scalini. Le guardavo e sono carismatiche, bellissime. Un altra visita che mi ha colpito molto è stata quella alla Madonna di Guadalupe. In pellegrinaggio arrivano circa venticinque milioni di persone all’anno e ci sono moltissimi bambini perché pare che andare con i bambini porti bene».
È stato un viaggio accessibile, in generale?
«Nell’albergo mi sono trovato benissimo. Poi – sto parlando di Città del Messico – gli scivoli nei marciapiedi non esistono, e in generale bisogna tenere conto che è una città di ventotto milioni di abitanti. Non può che essere caotica. Per tutti e a maggior ragione per chi come me si sposta con una carrozzina».
Giordania
Walter, infine, è stato anche in Giordania. Con gli inseparabili nipote ed ex moglie, ma anche con Carla Castagna, un’amica, una donna paraplegica. Ci siamo fatti raccontare da lei questa esperienza e presto ne pubblicheremo il resoconto.
Se tra i nostri Lettori c’è chi ha storie simili da raccontarci, saremo ben lieti di ascoltarle e condividerle con gli altri Lettori. Perciò non mancate di scriverci a info@superando.it.
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