Vorrei iniziare questo mio intervento ponendo due semplici domande: era necessaria la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità per tutelare i bambini e gli adolescenti con disabilità? Non era sufficiente la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia [Convention on the Rights of the Child, d’ora in poi spesso CRC, N.d.R.], adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, entrata in vigore il 2 settembre 1990 e ratificata in Italia il 5 settembre 1991 con la Legge 176/91?
Eppure la CRC era stato il primo documento internazionale sui diritti umani di stampo generalista (cioè non specificamente rivolto a una singola categoria di destinatari) a dedicare un articolo al tema della disabilità (il 23°) il quale non limitava in alcun modo l’applicazione di tutta la Convenzione alla situazione del bambino con disabilità, che come tutti, quindi, avrebbe dovuto godere dei diritti collegati ad alcuni principi fondamentali:
– non discriminazione (articolo 2);
– migliori interessi del bambino (articolo 3);
– Sopravvivenza e sviluppo (articolo 6);
– Partecipazione attiva del fanciullo (articolo 12).
E ancora, si può dire che la CRC, nel citato articolo 23, identifichi anche per il bambino e l’adolescente con disabilità le condizioni indispensabili alla difesa della sua dignità di persona, ritenendo necessario supportare le differenze per poter usufruire dei diritti della Convenzione stessa.
Riconoscendo in altre parole la difficoltà che questi minori incontrano nella vita quotidiana a causa della menomazione che ha determinato la loro disabilità, essi devono avere – in nome del diritto all’uguaglianza – maggiori aiuti rispetto ai coetanei.
Ecco, dunque, la giustificazione ad un articolo specificatamente dedicato ai bambini con disabilità.
Perché allora una nuova Convenzione?
I principali strumenti di difesa dei diritti umani – fra i quali la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali – affermano esplicitamente che i diritti umani valgono per tutte le persone e che ciascuno dovrebbe poterne godere senza distinzioni di sorta.
In tal senso il diritto al pieno godimento di tutti i diritti umani senza alcuna discriminazione vale indubbiamente anche per le persone con disabilità e la vera sfida sta quindi nel garantire che ciò venga pienamente riconosciuto e realizzato.
Il rispetto del principio di uguaglianza – sul quale sono incentrati tutti gli strumenti di tutela dei diritti umani – impone di garantire che le persone con disabilità, e nello specifico i bambini e gli adolescenti, possano esercitare i propri diritti in condizioni di parità con le altre persone. E tuttavia, benché negli ultimi anni siano stati compiuti progressi significativi, una serie di problemi impedisce tuttora la piena partecipazione delle persone con disabilità alla società.
Una questione fondamentale, pertanto, è se il grado di tutela fornito dagli strumenti internazionali sui diritti umani precedenti alla Convenzione approvata a New York alla fine del 2006 fosse adeguato per le persone con disabilità.
Esiste la prova della discriminazione?
Benché ai sensi del quadro giuridico internazionale alle persone con disabilità vengano riconosciuti gli stessi diritti umani degli altri, in realtà le cose non stanno proprio in questi termini.
Come conferma infatti un’ampia documentazione a livello internazionale, molte, moltissime persone con disabilità continuano ad essere emarginate e quelle in particolare con disabilità psichica sono le più soggette ad essere confinate in istituzioni disumane. Ad esse viene poi generalmente precluso l’accesso all’istruzione, a normali relazioni sociali, ad un’occupazione significativa e remunerativa, ciò che rischia di ridurle in uno stato di irreversibile povertà. Sia i loro diritti civili e politici, infine, sia le loro persone fisiche vengono frequentemente violati.
Dal canto suo la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità non esprime in sé nuovi diritti, ma riafferma che anche le persone con disabilità, donne e uomini, bambine e bambini, ragazzi e ragazze hanno gli stessi diritti di ogni altra persona e obbliga gli Stati Parte a rispettare e a proteggere tali diritti.
Diritti e realtà quotidiana
Riprendiamo ora integralmente l’articolo 7 della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità:
Minori con disabilità – 1. Gli Stati Parti adottano ogni misura necessaria a garantire il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dei minori con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri minori. – 2. In tutte le azioni concernenti i minori con disabilità, il superiore interesse del minore costituisce la considerazione preminente. – 3. Gli Stati Parti garantiscono ai minori con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri minori, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni su tutte le questioni che li riguardano e le loro opinioni sono debitamente prese in considerazione, tenendo conto della loro età e grado di maturità, assicurando che sia fornita adeguata assistenza in relazione alla disabilità e all’età, allo scopo di realizzare tale diritto.
Ebbene, questo articolo, riproponendo i quattro princìpi fondamentali contenuti nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, dispone, secondo la strategia dei diritti umani, il rispetto anche per i minori con disabilità di tutti gli articoli contenuti nella Convenzione.
Ma cosa succede nella realtà quotidiana dei bambini e degli adolescenti con disabilità che vivono nel mondo? Succede che da un punto di vista culturale ancora diffuso, sono in troppi – e in verità anche molte autorità e istituzioni – a pensare che la disabilità sia uno dei problemi minori nelle comunità.
Parole che non si possono dimenticare
Personalmente mi fa molto piacere che l’organizzazione di questo convegno [si fa riferimento al Convegno I diritti dei bambini e degli adolescenti con disabilità, Milano, 5 febbraio 2008, da noi presentato con il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.] ne abbia accompagnato la presentazione con una frase di Gerison Lansdown, figura particolarmente impegnata a livello internazionale nel campo dei diritti dei minori [se ne legga in questo sito una nostra intervista esclusiva, disponibile cliccando qui, N.d.R.], vale a dire: «Abbiamo un sogno. Che un giorno la nascita di un bambino disabile sia accolta con tutta la gioia e la speranza per il futuro con cui viene accolta la nascita di un bambino non disabile. Che l’unicità dell’esperienza di ciascun bambino con disabilità sia riconosciuta come un dono eccezionale alla dignità e all’umanità di tutti e di ciascuno di noi».
E tuttavia si sentono ancora, purtroppo, anche le parole del professore di bioetica Peter Singer che recitano: «Non sembra del tutto saggio aumentare ulteriormente il drenaggio di già limitate risorse, incrementando il numero dei bambini con disabilità»; oppure quelle del medico e filosofo Wim Rietdijk, «si dovrebbe uccidere quel bambino che si scopra avere difetti fisici o mentali prima o dopo la nascita»; o anche quelle dell’embriologo Bob Edwards, «sarà presto una colpa per i genitori avere un bambino che rechi il pesante fardello di una malattia genetica».
Purtroppo ancora oggi queste sono le riflessioni che vengono spesso proposte a genitori che scoprono di aspettare un bimbo con disabilità. Né sarebbe altrimenti spiegabile perché andando a sfogliare i rapporti dell’organizzazione ICBDSR (International Clearinghouse for Birth Defects Surveillance and Research) – che compila per ogni Paese le tabelle statistiche sulla presenza di malformazioni alla nascita e successivamente, registrando ove possibile anche il numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) richieste per presenza di malformazioni – si nota che in Italia, nel registro esistente in Campania nell’anno 2003, sono nati 4 bambini con spina bifida, mentre a causa della stessa diagnosi sono state effettuate 14 interruzioni volontarie di gravidanza. Per la sindrome di Down, poi, sono nati 31 bambini e ne sono stati abortiti 50.
Tali registri sono disponibili per la Campania, la Sicilia, la Toscana, l’Emilia Romagna e il Nord Est d’Italia. Tenendo dunque conto di queste due condizioni di disabilità, sempre nel 2003 in quelle regioni (la Sicilia, per altro, non ha fornito i dati sull’IVG) sono nati 110 bambini con sindrome di Down e ne sono stati abortiti 149, mentre con diagnosi di spina bifida il rapporto è di 15 a 37.
Senza voler aprire alcuna polemica sulla questione dell’interruzione volontaria di gravidanza noi, persone con disabilità, chiediamo che a questi genitori, prima di ogni loro libera decisione, sia permesso di parlare con noi e con le nostre famiglie. E chiediamo anche che le informazioni sulla disabilità del loro figlio vengano fornite non solo dal medico, ma anche da chi vive in prima persona la condizione specifica.
Scendendo per la “china dell’orrore”
Continuando poi nella descrizione della condizione di vita dei minori con disabilità e cercando di far emergere quanto la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità vuole combattere, vorrei parlare dei bambini più indifesi, ovvero di quelli abbandonati, abusati e assassinati.
Forse per descrivere tali situazioni bisogna scomodare addirittura Dante e quanto egli scrive nel terzo canto dell’Inferno: Lasciate ogni speranza voi ch’entrate e, successivamente, Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle.
Questo, infatti, è quanto devono aver sentito coloro che hanno visitato e visitano gli istituti dove milioni di bambini nel mondo vengono abbandonati. E questa è un’eventualità che colpisce anche i bambini senza disabilità, divenendone talora essa stessa causa di una disabilità.
Dietro a quelle porte c’è un sistema dove il maltrattamento, i trattamenti crudeli e inumani vengono perpetrati nell’assoluto silenzio. Nel 1988, ad esempio, venne chiuso a New York il Willowbrook State School, all’interno del quale, nel 1963, vivevano 6.000 persone, pur potendone contenere la struttura soltanto 4.275.
Per questi 6.000 “ospiti” – tutti con ritardo mentale, nel 1967 – erano disponibili 59 assistenti. Nel 1972 un medico dichiarò: «Willowbrook è pericoloso per i bambini. Vengono lasciati senza custodia, privati di ogni cura, malnutriti, picchiati; ne muoiono tre o quattro alla settimana, non per malattia, ma per negligenza».
In quel periodo venne anche autorizzata una sperimentazione medica senza richiedere l’autorizzazione ai familiari e un certo numero di bambini venne deliberatamente infettato con il virus dell’epatite per la ricerca di un nuovo vaccino.
In Romania, dopo la caduta di Ceausescu, si scoprirono più di 100.000 bambini in istituti che versavano in condizioni terribili. Essi dividevano in due o in tre ognuno dei letti – assomiglianti a delle gabbie – con le gambe e le braccia rattrappite e aggrovigliate, sporchi e immersi nei loro escrementi in stanze senza finestre.
Alcuni erano vestiti, altri nudi e venivano alimentati con bottiglioni di acqua e latte in polvere. La permanenza nei letti bagnati provocava naturalmente piaghe, ferite e infezioni.
In Cina si scoprirono istituti dove venivano abbandonate le bambine scampate ai cosiddetti “aborti selettivi” e all’infanticidio, vittime della politica del “figlio unico” e della preferenza per il figlio maschio. Anziché essere uccise, vennero dunque abbandonate e raccolte in questi istituti, con una mortalità di una su cinque nel primo mese di vita.
Esse vivono abbandonate in letti che non seguono la crescita dei loro corpi deformi, in una situazione di mancato sviluppo di ogni funzione fisica e intellettiva, di sporcizia, di malattie e di morte. Non hanno nome, non un braccialetto, nemmeno un foglietto sul letto e se qualcuno le sposta, nessuno si accorge di eventuali scambi.
Per quanto poi riguarda gli abusi sessuali, in generale i minori con disabilità ne patiscono in misura maggiore rispetto a quelli senza disabilità. Alcuni studi hanno riportato ad esempio che più del 90% dei minori con disabilità intellettiva hanno subito un abuso sessuale, il 49 % più di un abuso.
Anche l’Unicef – nell’ambito di uno studio condotto in Romania nel 2002 – ebbe a riferire di un alto tasso di incidenza di abuso sessuale coinvolgente sia le ragazze (in misura maggiore) che i ragazzi con disabilità.
Non va poi dimenticato che la pedofilia è una comune forma di abuso che vede tra le vittime principali proprio i maschi con disabilità intellettiva: si calcola infatti che essi siano il 73% dei bambini con disabilità abusati e che per il 67% siano maschi, con un’età media di 18 anni. Da registrare poi che a rendersi protagonisti di queste intollerabili azioni, sono proprio i familiari nel 36% dei casi, gli assistenti (28%), i vicini di casa (23%), persone straniere (8%), e anche altre persone con disabilità (4%).
Per quanto riguarda infine le cause di morte non naturali di minori con disabilità, il 16% è stato picchiato, il 10% colpito da un arma, il 9% strangolato, il 9% “affamato”, il 6% ustionato, il 6% avvelenato.
Progressi, certo, ma ancora tante violazioni
Cerchiamo ora di risalire la “china dell’orrore” e di parlare in termini politici più generali. In questo senso va detto subito che i minori con disabilità e le loro famiglie costantemente incontrano barriere al godimento dei loro diritti umani e alla loro inclusione sociale. Le loro abilità sono trascurate, le capacità sottostimate e le loro necessità non hanno priorità. Frequentemente le barriere che essi incontrano derivano dall’ostilità dell’ambiente anziché dalla loro menomazione.
E tuttavia, pur permanendo moltissimi problemi, va detto che la situazione di questi bambini sta senz’altro migliorando e che i progressi globali si devono anche alla spinta delle persone con disabilità che in numerosi Paesi – attraverso le loro associazioni – hanno raccolto le forze e premuto per ottenere cambiamenti e riforme legislative e culturali.
Anche qui, dunque, lo spettro è estremamente variegato: da una parte miglioramenti certi, sia in termini nazionali che internazionali, dall’altra troppi Paesi che ancora non hanno attivato efficaci normative di protezione, ciò che consente tuttora una serie di violazioni dei diritti.
Infatti, la quotidianità della maggior parte dei bambini con disabilità è segnata dalla condanna ad una povertà di vita, alla mancanza di opportunità di sviluppo del loro potenziale e di partecipazione. Essi vengono continuamente respinti dai sistemi scolastici e dalla formazione professionale messi a disposizione di ogni altro minore senza disabilità.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono oggi dai 200 ai 300 milioni i bambini e gli adolescenti con disabilità nel mondo dei quali l’80% vive nei Paesi in via di sviluppo. Le statistiche dicono anche che non è poi così raro nascere o diventare disabile.
Restando sempre in ambito statistico, si scopre poi che i dati raccolti spesso non sono comparabili tra loro perché i Paesi usano differenti classificazioni, definizioni e parametri tra le categorie di disabili e non disabili, per cui un minore può essere classificato come disabile lieve in un Paese e non disabile in un altro.
Altro problema è che in molti Stati lo stigma associato alla disabilità frena i genitori a dichiarare la situazione del proprio figlio, cosicché talora questi minori non vengono registrati, rimanendo sconosciuti ai sistemi di sicurezza sociale, sanitaria e scolastica.
Nei Paesi a bassa alfabetizzazione, infine, i minori con disabilità non ricevono alcuna educazione e alcune disabilità legate all’apprendimento restano sconosciute; di contro nei Paesi dove esiste un valido sistema di diagnosi e cura, i minori con disabilità appaiono con numeri elevati di incidenza.
L’Italia e due nuovi punti critici
In conclusione vorrei focalizzare l’attenzione sulla condizione dei bambini e degli adolescenti con disabilità in Italia e per fare questo credo sia necessario rifarsi ai Rapporti Paralleli di Monitoraggio della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, dove il Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND) collabora con il Gruppo di Lavoro delle Organizzazioni Non Governative, coordinato da Save the Children [qui di seguito riproniamo una scheda dedicata a tale Gruppo di Lavoro, N.d.R.].
La lettura di questi Rapporti potrà aiutare a capire come l’Italia, nonostante sia un Paese moderno, industrializzato e con ottime leggi di tutela, abbia ancora molti punti oscuri sulla difesa dei diritti umani dei minori con disabilità.
In sostanza le situazioni esposte negli ultimi cinque anni indicano un’immobilità che non porta alcun giovamento alla condizione dei minori. Qualche esempio concreto potrà conferire maggiore chiarezza su ciò che succede nel nostro Paese:
– non esistono dati certi sulla fascia di età dei minori con disabilità che va da 0 a 5 anni;
– non esiste un piano nazionale strategico sull’età evolutiva;
– non sono stati definiti i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) per l’età evolutiva e tanto meno i LIVEAS (Livelli Essenziali di Assistenza Sociale);
– non è stata prodotta alcuna legge sulla presa in carico non solo per i minori con disabilità, ma anche per i minori con gravi patologie in genere;
– non si conosce l’esistenza di provvedimenti che impongano l’adozione degli strumenti diagnostici validati (ad esempio l’ICD-10, la Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e dell’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, prodotta sempre dall’OMS nel 2001), per definire il profilo di funzionamento e non di disabilità;
– esiste il problema della diagnosi certa e precoce, spesso legata al caso o alla presenza sul territorio di un servizio specialistico;
– i pediatri di base non sono raccordati con i servizi di neuropsichiatria infantile;
– non esistono dati sulla presenza di minori con disabilità che siano aggiornati al 31 dicembre 2006, data di chiusura degli istituti;
– quanti sono i minori con disabilità non riconosciuti alla nascita? Dove vengono “sistemati”? Quanti ne vengono adottati? E in quanto tempo rispetto ai neonati senza disabilità?
E tuttavia va detto – quasi ovviamente – che la situazione vissuta dai minori con disabilità in Italia è certo molto migliore di quanto succeda in tanti altri Paesi. Tangibile, inoltre, il cambiamento di mentalità che negli ultimi venticinque anni ha toccato questo ambito della vita quotidiana, portando il minore con disabilità a godere di una più ampia partecipazione alla vita della famiglia e della comunità, rispetto ad un tempo in cui l’istituto era l’unica risposta ipotizzata.
Altri due punti critici presenti nel nostro Paese vanno comunque evidenziati, tenendo conto soprattutto dell’ampio spettro di novità introdotte dalla recente Convenzione ONU:
– L’attenzione quasi esclusiva posta al tema del diritto all’istruzione.
Quest’ultima, infatti, ha in qualche modo posto in secondo piano ogni altro diritto spettante a tutti i bambini secondo la Convenzione ONU: da quello al gioco a quello alla partecipazione e così via.
– Il supporto alla famiglia e la cultura dei diritti del bambino.
Recentemente si è rafforzata l’attenzione governativa al tema della famiglia come formazione sociale prioritaria per lo sviluppo delle politiche sociali. Tale concetto, però, di evidente importanza visto che si parla di infanzia, rischia di portare a fraintendimenti, laddove si interpreti la centralità della famiglia come alternativa o addirittura come incompatibile con la cultura dei diritti del bambino, con il pericolo, quindi, di riportare l’intervento pubblico nel campo dell’infanzia alla categoria della “pura beneficenza” (nessun diritto per il bambino = nessun obbligo per la società).
A questo punto, dunque, torno a proporre uno dei miei quesiti iniziali, girandolo ai lettori: era necessaria o no la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità per tutelare i bambini e gli adolescenti con disabilità?
*Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).
Il presente testo è un adattamento della relazione presentata al Convegno di Milano del 5 febbraio 2008, intitolato I diritti dei bambini e degli adolescenti con disabilità, presentato dal nostro sito con il testo disponibile cliccando qui. Sul medesimo argomento – sempre della stessa autrice – suggeriamo la lettura, in questo sito, anche del testo I diritti dei bambini con disabilità, che è disponibile cliccando qui.
e il Gruppo di Lavoro per la CRC La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. L’Italia l’ha ratificata il 27 maggio 1991 con la Legge 176/1991.
Per verificare che i principi sanciti dall’importante documento siano effettivamente rispettati, le Nazioni Unite chiedono ad ogni Stato di redigere e presentare ogni cinque anni un rapporto. Inoltre, per dare voce anche al punto di vista della società civile, le Organizzazioni Non Governative e del Terzo Settore hanno la possibilità di elaborarne uno supplementare.
Per questa ragione nel 2000 nasce in Italia il Gruppo di Lavoro per la CRC che l’anno successivo redige un rapporto sulla condizione dell’infanzia in Italia supplementare a quello che il Governo Italiano aveva precedentemente presentato alle Nazioni Unite.
Successivamente il Gruppo di Lavoro ha deciso di proseguire nella sua opera di monitoraggio, redigendo annualmente un rapporto di aggiornamento che verifica lo stato di applicazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese.
Il Gruppo di Lavoro predisporrà nuovamente nel 2008 un rapporto supplementare a quello che il Governo Italiano è tenuto a presentare al Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Sono oggi ben sessantadue le associazioni e organizzazioni non profit a far parte del Gruppo di Lavoro per la CRC e che hanno sottoscritto il rapporto del 2007. A coordinarle è Save the Children Italia e tra esse vi è anche il CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).
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