Nel mese di settembre dell’anno 2008 – e cioè dopo l’entrata in vigore della Legge 104/92, del DPR 503/96 sull’eliminazione delle barriere negli edifici, negli spazi e nei servizi pubblici, della Legge 67/06 contro le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità e soprattutto dopo l’emanazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – il Comune di Venezia ha aperto ai cittadini un ponte inaccessibile.
Non si tratta per altro di un ponte qualsiasi, ma del quarto che attraversa il Canal Grande nella storia della città lagunare. Si tratta, inoltre, di un’opera d’arte concepita dall’architetto Santiago Calatrava, il cui nome ha risonanza a livello internazionale.
Dopo molti anni di contestato e faticoso lavoro (si vedano qui in calce i nostri vari articoli dedicati alla vicenda), con un aumento esponenziale dei costi inizialmente previsti, il ponte è pronto, ma sin dal momento della sua apertura, nei giornali non si è più smesso di scriverne e sempre con toni polemici. Ecco i punti salienti del dibattito.
Fino a prima della sua apertura, l’inaccessibilità del ponte era proverbiale in riferimento alle persone con disabilità motoria e a questa “pecca” – che viola tutte le fondamentali normative citate – si è cercato di rimediare individuando un trasporto alternativo per le carrozzine.
Bocciata l’idea del servoscala – che sembrerebbe essere stata presa in considerazione in un primo momento, ma rispetto alla quale siamo in attesa di poter leggere gli atti ufficiali – e dopo aver valutato una serie di proposte avanzate da équipe di esperti, il Comune ha votato una soluzione sperimentale: quella di applicare alla dorsale del ponte la ben nota “ovovia”.
Ecco il primo punto del dibattito. Dopo che l’amministrazione ha scelto di aprire il ponte prima dell’installazione della suddetta ovovia e quindi lasciandolo, per i primi mesi, del tutto inaccessibile, sul quotidiano «La Nuova Venezia» del 2 ottobre si legge che l’ovovia «è ancora lungi dall’essere pronta» e che «in Comune – in via ufficiosa – non si sarebbe più così decisi a realizzarla, se solo le associazioni dei disabili (che hanno sempre subito l’ovovia come extrema ratio, perché non permette l’accesso al ponte, ma solo il lento attraversamento del canale) fossero d’accordo a trovare una soluzione diversa».
Rispetto a questo primo punto, abbiamo contattato il direttore dei lavori per l’ovovia, l’ingegner Ermes Redi, di cui di recente abbiamo pubblicato un’intervista esclusiva. Ci ha risposto di non aver ricevuto alcuna comunicazione di un ripensamento da parte dell’Amministrazione Comunale.
Ci ha riferito invece che i lavori sono a buon punto, tanto che entro una, massimo due settimane, si prevede l’apertura del cantiere sotto il ponte.
Come ci aveva annunciato in quella stessa intervista, si sente poi ancora in grado di confermare il mese di novembre come obiettivo possibile per l’inaugurazione dell’ovovia. Naturalmente, è nostra intenzione seguire passo passo gli sviluppi ed è infatti prossima una nostra visita all’officina dove si sta lavorando all’allestimento della discussa cabina.
La questione dell’ovovia, però, non è complicata solo da un punto di vista pratico, trattandosi un prototipo e comportando quindi delicate manovre nella progettazione prima e nella costruzione dopo. La situazione, infatti, è complessa anche da un punto di vista di principio.
Ed ecco il secondo punto del dibattito: per quanto avveniristica, l’installazione dell’ovovia è considerata da molti una soluzione non ottimale perché risponde ai problemi di inaccessibilità solo marginalmente, essendo comunque un’opera a sé e non parte del ponte che rimane inaccessibile.
In questo senso, dal nostro direttore responsabile Franco Bomprezzi al vicepresidente del Comitato Regionale UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) del Veneto Gianfranco Bastianello, fino al blogger Roberto Scano, in molti hanno sollevato perplessità sull’utilità di un’opera che, oltretutto, richiederà un tempo pari a poco meno di venti minuti per completare l’attraversamento.
La questione “ovovia sì – ovovia no” poggia però sulla punta di un iceberg alla cui base sta una vicenda di discriminazione. Capire perciò i processi di mala amministrazione che hanno fatto sì che una situazione tanto incresciosa accadesse nel XXI secolo in una delle città più belle del mondo diventa a questo punto la questione principale.
In questo senso si esprime Pietro Barbieri, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che a breve dovrebbe incontrare il sindaco veneziano Massimo Cacciari per discutere proprio su questi punti e che in una nota ufficiale fornisce anche un’utile precisazione rispetto a quanto scritto il 2 ottobre dal citato quotidiano «La Nuova Venezia».
«A margine dell’articolo di ieri sulla “Nuova Venezia” – scrive Barbieri – che ci ritiene possibilisti circa un “accordo” con il Comune di Venezia rispetto all’inaccessibilità del Ponte progettato da Calatrava, ci teniamo a precisare che l’unico fatto certo è un ventilato incontro con il sindaco della città lagunare. Qualsiasi ipotesi, formulata da altri, che ci veda favorevoli a ipotetiche soluzioni è priva di fondamento. Nel caso poi che tale incontro si formalizzi, la linea da tenere la stabilirà il Direttivo della FISH ed è facile prevedere che, ancora una volta, l’accento verrà posto sui diritti umani e sui principi di non discriminazione approvati dalla Convenzione ONU».
«Un aspetto – prosegue Barbieri – è infatti acclarato. Quell’opera è stata realizzata in violazione al principio di non discriminazione e in violazione del principio della progettazione universale, due capisaldi della Convenzione e di altre importanti dichiarazioni internazionali. Ovovie, sollevatori, biglietti gratuiti sui trasporti pubblici a mo’ di indennizzo non rappresentano un “accomodamento ragionevole”, ammesso dalla Convenzione solo nel caso di particolari disabilità e solo in casi estremi. Il ponte doveva essere progettato, finanziato e realizzato con la logica della progettazione universale, cioè tenendo in considerazione anche anziani, persone con problemi visivi, persone con difficoltà a deambulare e persone in carrozzina. Cittadini a tutti gli effetti. Una lacuna vieppiù grave, visto l’abito epocale attribuito all’opera».
«Il nostro timore maggiore – conclude Barbieri – è che l’ovovia o qualsiasi altra soluzione, rappresenti il prototipo di “accomodamento ragionevole” e invece non lo è affatto. È solo un “rattoppo” che tenta di coprire lo “strappo” della discriminazione. Quel ponte poteva e doveva essere accessibile e solo allora essere degno del nome scelto: “Ponte della Costituzione”. La vittoria culturale – prima ancora che giudiziaria – sarebbe far comprendere questo principio».
Quello attorno all’ovovia, dicevamo, è però solo uno degli argomenti del dibattito che in queste ultime settimane è scoppiato attorno al nuovo ponte. Altro punto fondamentale, infatti, è la sua inaccessibilità alle persone ipovedenti e non vedenti. E nonostante l’assessore comunale ai Lavori Pubblici Mara Rumiz nel nostro ultimo colloquio ci avesse assicurato di voler affrontare la questione, non ci sono stati ancora interventi significativi che comunque, anche in questo caso, sarebbero a posteriori, e cioè a partire dall’errore di fondo del mancato rispetto delle normative.
Il ritardo negli interventi chiesti a gran voce, ad esempio, da Giulio Nardone, presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), è dovuto in parte anche al fatto che, una volta aperto il ponte, si è verificato un avvenimento inatteso (inatteso quanto meno dall’Amministrazione, visto che invece alcuni avevano già avanzato ipotesi in tal senso): il ponte si è dimostrato pericoloso, “democraticamente”, per tutti, dal momento che la sua struttura a gradini irregolari crea delle barriere percettive che ingannano anche l’occhio di chi ci vede bene e la gamba di chi ha mobilità buona.
E così, in questi giorni, quasi dieci persone sono finite all’ospedale e il Comune si è visto costretto a rivolgersi allo stesso Calatrava, chiedendogli un ripensamento del progetto. In una nota ufficiale, l’architetto ha risposto suggerendo, in particolare, la sostituzione delle trentadue pedate di vetro con analoghe pedate di pietra.
Rispetto alla nota dello studio del professionista spagnolo, da una parte ci si chiede come un architetto di fama internazionale abbia progettato un’opera che procura tanti problemi e che oggi risulta di difficile accesso a tutti. Dall’altra, si prende atto delle dichiarazioni che l’assessore Rumiz ha rilasciato di recente ai giornali: «L’ipotesi sulla quale gli Uffici del Comune sono al lavoro è legata alla segnaletica, per aumentare il livello di attenzione degli utenti e per migliorare la percezione dei gradini, nei cambi di passo conseguenti al cambio di larghezza della pedata, attraverso puntuali elementi correttivi non invasivi: un’ipotesi che ritengo meno complessa della sostituzione di parti di ponte, meno costosa e oltretutto modulabile, suscettibile cioè a ulteriori aggiustamenti. Per quanto riguarda infine il ventilato pericolo per gli ipovedenti delle estremità dei quattro parapetti, gli Uffici del Comune sono già al lavoro per installare degli appositi marcatori alla base di dette estremità».
– Il ponte e il presidente, disponibile cliccando qui.
– Discriminazione a mezzo stampa, disponibile cliccando qui.
– Quando i veneziani non sono all’altezza della città
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– Quando l’ignoranza tocca il fondo
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– Non si può proprio chiamarlo «Ponte della Costituzione»
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– Quel ponte è un’opera incompleta, disponibile cliccando qui.
– Ovovia: la parola al direttore dei lavori, disponibile cliccando qui.
Altri precedenti testi dedicati al Ponte di Calatrava sono:
– E finalmente il ponte arriva!, disponibile cliccando qui.
– Il futuro del quarto ponte, disponibile cliccando qui.
– Approvata l’ovovia per il quarto ponte di Venezia
disponibile cliccando qui.
– Il quarto ponte di Venezia, disponibile cliccando qui.