Il recente articolo di Gabriella Villari apparso in Superando con il titolo Perché quel disegno di legge sancisce una discriminazione [lo si legga cliccando qui, N.d.R.] e la notizia dello studio sullo stato vegetativo e su quello di minima coscienza coordinato dalla dottoressa Matilde Leonardi del Besta di Milano [se ne legga cliccando qui, N.d.R.], ragionevolmente finalizzato alle successiva pubblicazione di linee guida, riportano l’attenzione sui rischi inerenti ad un possibile frazionamento della complessa realtà dei cosiddetti “gravissimi” in compartimenti separati, “etichettati” e ben definiti e quindi nel riconoscimento di un quantum di assistenza e di attenzione sociale per la persona e per la sua famiglia in base appunto alla sua “collocazione”.
Il problema si era già posto politicamente quando era naufragata la proposta di accorpare la situazione dei “gravissimi” (limitatamente almeno ai provvedimenti positivi!) nei contrastati provvedimenti sulle persone non in grado di autodeterminarsi (testamento biologico).
Molte situazioni di disabilità fisica gravissima – associata o meno a compromissione intellettiva – generano una necessità esistenziale notevole con fortissime ricadute di “fatica assistenziale” sulla famiglia e di complessità gestionale non certo inferiore a quello dovuta a uno stato di coma. Talvolta, anzi, ben superiore. Oggi la determinazione riconosciuta dei bisogni di queste persone appare legata alla decretazione sui LEA (Livelli Essenziali d’Assistenza) e sui LEAS (Livelli Essenziali Assistenza Sociale) o alla votazione del disegno di legge relativo e purtroppo sui tempi di tali provvedimenti è difficile fare una previsione.
È però soprattutto sui provvedimenti positivi concreti che, a nostro dire, andrebbe focalizzata l’attenzione, cioè sulla difficile trasformazione della norma giuridica astratta nella concreta e incontrastata fruizione del diritto enunciato. Parliamo, per dirla più semplicemente, di un’effettiva presa in carico complessiva e “corale” da parte degli enti preposti (Ministero, ASL, Regioni, Distretti Socio Sanitari, Comuni), basata sulla determinazione delle esigenze singole in base alle reali necessità della persona, tramite una commissione di valutazione multidisciplinare nella quale vi sia adeguato spazio rappresentativo e quindi peso decisionale per la persona con disabilità o chi la rappresenta (e qui intendiamo i familiari e non ad esempio il medico di libera scelta) che riconosca il valore (economico e “tecnico”) del lavoro assistenziale della famiglia e lo supporti adeguatamente.
Niente di nuovo, quindi, rispetto a quello che chiediamo da anni: sia dato prima e di più a chi maggiormente ha bisogno.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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