Una vittoria annunciata, ma una vittoria che fa pensare. Torno da Roma carico di emozioni e di stanchezza. Provo a mettere ordine nei pensieri.
La prima riflessione è di gratitudine, per tutti coloro, e davvero erano tanti, che in una caldissima giornata di luglio hanno messo il cuore oltre l’ostacolo, affrontando un viaggio difficile, costoso, non previsto, arrivando a Roma da ogni Regione d’Italia. Non pochi, tanti. Centinaia, dicevamo all’inizio. Migliaia, abbiamo contato alla fine.
Persone diverse per disabilità, per genere, per generazione, per idee, per cultura, per dialetto, per rabbia. Persone riunite sotto le tante bandiere del volontariato, delle associazioni belle e pulite che animano il mondo della disabilità e lo rappresentano, magari a volte in modo imperfetto e non sufficientemente organizzato, ma sempre partendo da una visione del mondo giusta, quella che si basa sui bisogni e sui diritti dei più deboli, dei più indifesi, dei senza parola.
Il secondo pensiero è al Palazzo. Non è giusto mettere tutti sullo stesso piano, in un indistinto atto di accusa demagogico e qualunquista nei confronti della classe politica. Ho visto deputati e senatori che davvero soffrivano con noi la vergogna di dover mettere in discussione e al voto diritti minimi acquisiti da tempo. Non faccio i nomi perché li conosciamo. Spesso sono parlamentari che non si vedono in televisione, perché non hanno tempo da perdere, impegnati nelle commissioni, impegnati a prepararsi come si deve su argomenti che richiedono tempo, esperienza, cultura, competenza.
Un grazie di cuore a quelli fra loro che il 7 luglio non sono arretrati di un centimetro, hanno “marcato a uomo”, hanno insistito affinché arrivasse quel voto che tutti in Piazza Montecitorio aspettavano sotto il sole, con pazienza mista a rabbia, imprecando e dialogando, discutendo e applaudendo, con il sottofondo delle vuvuzelas suonate dagli amici sordi.
La terza riflessione, quella più personale, è che mi sono sentito vivo come non mai. Ero lì, in mezzo alla gente che conosco di più, preoccupato di dare voce a tutti, di passare il microfono soprattutto a chi normalmente non ha la possibilità di esprimersi, di parlare in pubblico, trasformando la piazza in un grande blog, in un forum nel quale improvvisamente la partecipazione virtuale che ci aveva unito in queste settimane si tramutava in calore umano, in sudore, in emozione, in strette di mano, in abbracci veri e non cibernetici.
È stato un grande onore quello che Pietro Barbieri, grande e indomito condottiero della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), assieme a Giovanni Pagano, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili), mi hanno riservato in questo storico 7 luglio: condurre il filo rosso dei ragionamenti della piazza, cucire gli interventi, mantenere il ritmo di una manifestazione forte e spontanea, civile e bellissima. Spero di esserci riuscito senza protagonismi inutili, so soltanto che ce l’ho messa tutta, anche perché mi sentivo sorretto dall’amicizia forte e sincera di tanti. Un’esperienza indimenticabile.
Ma l’ultima riflessione, la più amara e preoccupata, è questa: che cosa sarebbe successo se la manifestazione del 7 luglio, la petizione lanciata nei giorni scorsi tramite «Vita.it» [8.126 adesioni raggiunte in breve tempo, N.d.R.], il tam tam informativo di queste settimane, l’attività di lobby democratica delle associazioni, non ci fossero state? Che cosa sarebbe successo se la piazza fosse rimasta vuota e silenziosa? La risposta è semplice e sconcertante: sarebbe passata, nel silenzio generale, nel torpore dei media e delle forze politiche, una manovra scellerata e assurda, avremmo fatto passi indietro pazzeschi nella storia dei diritti e delle conquiste dei disabili italiani. Avrebbe vinto il pregiudizio di Tremonti, la sua convinzione che invalidità in Italia è sinonimo di falsa invalidità, di furbizia, di peso economico, di improduttività, di non competitività. Avrebbe vinto, e avrebbe avuto ragione.
Ma non ha vinto Tremonti, non ha vinto Azzollini, ineffabile presentatore di emendamenti che durano lo spazio di un giorno, o di una settimana. Loro hanno perso.
Contro il pregiudizio ha vinto l’orgoglio. L’orgoglio di cittadini esemplari, che hanno dimostrato che cosa significa in concreto la parola “democrazia”. Di qui non si passa, da qui non si torna indietro. Orgoglio e pregiudizio continueranno a contrapporsi e a sfidarsi. Ma ora so chi vincerà. L’ho letto negli occhi delle persone disabili e dei loro amici, dei familiari, dei cittadini che erano lì, a Roma, stanchi e accaldati, ma decisi a non cedere. Hanno vinto loro. Con orgoglio e dignità. Grazie davvero di questa lezione. Andiamo avanti
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Orgoglio e pregiudizio e qui ripreso con adattamenti.