A sollevare per primo il problema da queste pagine era stato il CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), che aveva dato visibilità alla denuncia di una famiglia di Pordenone – di origine egiziana e residente da oltre otto anni nella Provincia friulana – che si era vista negata l’assistenza al proprio figlio minore con sindrome di Down.
«Alla luce di tale fatto – aveva scritto Sergio Silvestre, coordinatore di CoorDown – crediamo valga la pena segnalare una previsione legislativa a nostro parere “aberrante”, contenuta nella Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia 6/06 (Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale), come modificata dall’articolo 9, commi 51 e 53 della Legge Regionale 24/09. Al Capo I (Destinatari e accesso al sistema integrato) vi si scrive testualmente: “Art. 4 (Destinatari del sistema integrato) […] 1. Hanno diritto ad accedere agli interventi e ai servizi del sistema integrato tutti i cittadini comunitari residenti in regione da almeno trentasei mesi. […] 3. Tutte le persone comunque presenti sul territorio regionale hanno diritto agli interventi di assistenza previsti dalla normativa statale e comunitaria vigente”». «Con questa previsione – commentava Silvestre – sono esclusi dagli interventi di competenza regionale (come da Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia 41/96, che prevede Norme per l’integrazione dei servizi e degli interventi sociali e sanitari a favore delle persone handicappate ed attuazione della legge 5 febbraio 1992, n. 104) tutti i cittadini extracomunitari, anche se residenti da più di tre anni, ai quali sono solo garantite le prestazioni assistenziali di carattere statale e comunitario».
Poco dopo, il direttore responsabile del nostro sito, Franco Bomprezzi, in linea con quanto denunciato da CoorDown, aveva parlato di «norma che fa a cazzotti con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma anche con la Costituzione Italiana» (i testi integrali degli interventi di Silvestre e di Bomprezzi sono disponibili cliccando qui e qui).
Pian piano, dunque, della vicenda si è cominciato a parlare sempre più, fino ad arrivare anche a un’Interrogazione in Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, presentata dal consigliere di minoranza Paolo Pupulin (Partito Democratico), «per conoscere come si intenda intervenire contro qualsiasi tipo di discriminazione nell’accesso ai servizi del Welfare Regionale, tanto più odioso perché rivolto nei confronti dei bambini disabili». In occasione poi delle discussioni di fine giugno sulle Variazioni di Bilancio, l’opposizione ha presentato anche un emendamento, chiedendo il ripristino delle norme precedenti.
Alla fine, quindi – come informa una nota pubblicata il 1° luglio scorso dall’ACON (Agenzia Consiglio Notizie) del Friuli Venezia Giulia – la Giunta Regionale ha approvato un emendamento da essa stessa presentato, che «sostituisce integralmente l’articolo della legge sul Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, che stabiliva che il diritto all’accesso ai servizi del sistema integrato l’avevano i cittadini comunitari residenti in regione da almeno 36 mesi». In particolare «la riscrittura stabilisce che tale diritto è aperto alle persone residenti in regione, siano esse cittadini italiani, di Paesi membri dell’Unione europea, stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché ai minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, oltre che ai titolari di status di rifugiato e di protezione sussidiaria». Infine, «hanno diritto di accedere ai servizi anche i minori e le donne straniere in stato di gravidanza e nei sei mesi dopo la nascita del figlio, anche se non in possesso del requisito di residenza», così come «le persone presenti sul territorio regionale che sono in situazioni da esigere interventi non differibili».
«Consideriamo questa – ha commentato Pupulin – non una nostra vittoria, ma una vittoria della ragione e soprattutto dell’iniziativa straordinaria messa in campo dalle associazioni dei disabili e in particolare di quella del CoorDown ONLUS. Determinante è stato certamente l’impegno dell’Amministrazione Comunale di Pordenone [che aveva deciso di garantire ugualmente, con propri fondi, la continuità del servizio di affiancamento al minore, N.d.R.], che ha mantenuto una posizione di grande valore e coerenza, ma soprattutto ripaga la “mamma coraggio” egiziana, che ha sfidato burocrazie e insensibilità diffuse, per difendere il futuro prezioso del proprio figlio. Confidiamo quindi che questa vittoria di una piccola “Davide” su un arrogante “Golia” costituisca una lezione per recuperare l’idea di un’effettiva politica di integrazione di questi “nuovi italiani”». E quando “Davide” – aggiungiamo – è affiancato da tante associazioni unite nella difesa dei diritti delle persone con disabilità, minori o adulte che siano, la vittoria diventa senz’altro possibile, come ben dimostrano le vicende di queste settimane, che per ben due volte – dapprima sulle percentuali di invalidità e sull’indennità di accompagnamento, poi sul numero di alunni nelle classi scolastiche – hanno visto la Commissione Bilancio del Senato e il Governo fare marcia indietro rispetto a precedenti proposte, inique e discriminatorie, anche per la grande mobilitazione delle associazioni di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili), culminata con la manifestazione nazionale di Roma del 7 luglio.
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