Ma perché nessuno parla di quel supplizio?

di Franco Bomprezzi*
Basterebbe alzarsi la mattina presto, andare in una qualsiasi sede dell'INPS, cercare la sala d’attesa dove si riuniscono le persone in attesa dei "controlli-rastrellamenti" sulla regolarità delle certificazioni di invalidità, e poi raccontare, taccuino alla mano, quello che Nenette Anderloni, una delle fondatrici di Idea Vita ONLUS, qui racconta, con stile asciutto e documentato. Perché nessuno fino ad oggi lo ha fatto? Paura dell’INPS? Sensazione che non interessi a nessuno? Pigrizia professionale? Ignoranza o insensibilità? E così, mentre le associazioni annunciano una nuova mobilitazione, continua la "pseudo-caccia" ai falsi invalidi, che in realtà altro non è che un supplizio per quelli veri

Ombre di persona in carrozzina spinta da un'accompagnatriceLeggo di un nuovo allarme della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAND (Federazione Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), ossia dei due grandi coordinamenti delle associazioni delle persone con disabilità, per il comportamento che sta tenendo l’INPS nella lunga campagna di controllo delle certificazioni di invalidità [se ne veda ampiamente nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Sta dunque per ripartire una mobilitazione forte delle associazioni e si pensa a una nuova protesta, dopo quella culminata il 7 luglio scorso con una grande manifestazione a Roma [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].

Provo adesso una sensazione di stanchezza, di irritazione, di frustrazione. Anche come giornalista, quando ricevo una lettera come quella che mi ha inviato, a suo tempo, una donna in gambissima come Nenette Anderloni, tra i fondatori della Fondazione Idea Vita ONLUS di Milano. Lo considero un pezzo di cronaca degno delle migliori firme. Eccolo:
«Carissimi, non è mia abitudine lagnarmi genericamente delle cose che non vanno. Preferisco cercare di conoscere e toccare con mano le situazioni. La settimana scorsa, come tante altre persone coinvolte nella disabilità, ho ricevuto la lettera dell’INPS indirizzata a mio figlio Alberto, nella quale, in modo perentorio, si chiede di esibire, entro 15 giorni dalla ricezione, la documentazione attestante lo stato invalidante che ha dato luogo alla prestazione dei benefìci economici dei quali è titolare. La richiesta si inserisce, come l’INPS dichiara, in un piano di verifiche nei confronti dei titolari di benefici economici. Ho subito collegato l’operazione alla campagna di individuazione dei falsi invalidi che, beninteso, condivido, ma che dovrebbe e anzi avrebbe già dovuto essere condotta con ben altre modalità. Per esempio, verificando l’operato dei membri delle commissioni preposte al riconoscimento della invalidità.
Non voglio soffermarmi su aspetti già ampiamente discussi; è certo, tuttavia, che il mero esame delle carte probabilmente non consente di snidare i falsi invalidi. Desidero descrivere brevemente cosa ho vissuto io che, per capire, sono andata all’INPS a consegnare, come richiesto, il verbale di invalidità, i documenti relativi al riconoscimento della gravità e del diritto a percepire l’assegno di accompagnamento, la relazione medica attestante lo stato dell’interessato.
Ore 10.30: davanti all’ufficio del medico legale c’erano un’ottantina di persone, per lo più anziane, in piedi senza possibilità di sedersi, alcune delle quali avevano portato con se’ il figlio in carrozzina o visibilmente compromesso, che mal sopportava la lunga attesa. Io ho concluso la mia consegna e sono uscita dall’ufficio alle 13.30. Altri erano ancora in attesa.
Nel frattempo, le persone progressivamente recepivano la violenza alla quale erano sottoposte e aumentava la lamentela che prendeva, come sovente accade, forme di qualunquismo e di bassa rivendicazione: i polli di Renzo insegnano.
Frasi come: «io gli spacco la testa», «sono tutti uguali», «bisognerebbe dar fuoco», «è una vergogna». E poi il racconto di inenarrabili calvari personali. Ma la paura indotta dall’intimidazione della lettera (“La informo inoltre che se la sua posizione non può essere verificata sulla base della documentazione prodotta sarà ugualmente convocato a visita”) trasformava tutti in schiavi succubi di un potente padrone che detta legge, che può togliere la pensione e chissà cos’altro. Altro che cittadini di una società civile! Altro che diritti riconosciuti alla persona!
Chiedo: perché queste verifiche non sono state avviate in collaborazione con le Associazioni? Perché i dati non possono essere recepiti dalla ASL? Perché le persone con disabilità che fruiscono di servizi erogati dal Comune o da enti gestori accreditati e che sono quindi note al sistema devono subire questo tipo di trattamento? Chiedo alla LEDHA [la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità della Lombardia, N.d.R.] di cercare di interrompere questo supplizio e di concordare con l’INPS le modalità per consentire all’Istituto di effettuare i necessari controlli, senza però accanirsi su persone già largamente provate dalla fatica fisica e morale. Il buon senso e una certa capacità organizzativa potrebbero risolvere questo problema ed anche tanti altri con maggior efficacia e con minori sprechi.
Così avevo scritto. Poi, dopo aver portato altra documentazione, che fra l’altro costa, mio figlio è stato convocato per la visita per il giorno 11 ottobre. Alla visita, ho capito che il problema dei falsi invalidi è un falso problema. La volontà è quella di togliere l’assegno di accompagnamento a tutti coloro che sanno infilarsi le mutande, bere un bicchiere di acqua, mangiare dal piatto. “Non ci sono soldi, tutto passa alle Regioni e la Regione Lombardia non ha tutte le risorse per sostenere la situazione attuale”. Questo mi è stato detto.
Il Decreto Ministeriale che per alcune patologie esonera dalla visita [Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2 agosto 2007, N.d.R.], non è preso in considerazione. La relazione del medico di medicina generale non interessa e così pure vengono ignorate e respinte le relazioni di medici psichiatri o neurologi delle Associazioni. Si torna indietro di 30 anni. Ciao e grazie, Nenette…».

«Ciao e grazie». Ma grazie di che? Dell’ascolto? Della mia solidarietà? Io ora mi domando soltanto perché nessun giornalista di quotidiano nazionale a larga tiratura, o di televisione pubblica o privata – compresi i grandi nomi delle inchieste che fanno tremare i polsi alla politica – si è mai umilmente cimentato, in questi mesi, con un banale servizio di cronaca dal vivo.
Alzarsi la mattina presto, andare in una qualsiasi sede dell’INPS, cercare la sala d’attesa dove si riuniscono le persone in attesa dei “controlli-rastrellamenti” sulla regolarità delle certificazioni di invalidità, e poi raccontare, taccuino alla mano, quello che Nenette Anderloni, con stile asciutto e documentato, ci ha depositato con una banale e-mail. Perché nessuno fino ad oggi lo ha fatto? Paura dell’INPS? Sensazione che non interessi a nessuno? Pigrizia professionale? Ignoranza e/o insensibilità?
Senza comunicazione di qualità, senza il contropotere di un’informazione libera e attenta alla reale tutela dei diritti dei Cittadini, specie quelli più fragili, in questo periodo di crisi del welfare può davvero accadere qualsiasi cosa.
Io, intanto, ho lasciato questo mio spazio alle parole di Nenette Anderloni. Spero che siano in molti a leggerle e a diffonderle, a commentarle, a indignarsi un po’. Quando parlavo qualche tempo fa dell’estate di “macelleria sociale”, non credevo che sarebbero davvero arrivati a tanto. Ma sta succedendo. Nel silenzio generale. Grazie, Nenette. Grazie lo dico io.

*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Grazie, Nenette e qui ripreso con alcune modifiche.

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