L’ultima volta che ci eravamo direttamente occupati del “Ponte della Costituzione” di Venezia – l’opera progettata dal celebre architetto spagnolo Santiago Calatrava e della quale per anni abbiamo denunciato i problemi di accessibilità e non solo (si veda in calce il lungo elenco dei nostri articoli) – era stato per riferire di come il Tribunale Civile di Milano avesse respinto un ricorso, sostenuto anche dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), presentato per dimostrare la violazione della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), segnatamente riguardo alla cosiddetta “ovovia”, ovvero quella sorta di cabina che dovrebbe percorrere la struttura sul Canal Grande di Venezia, trasportando carrozzine e persone con ridotta mobilità (se ne legga cliccando qui).
Oggi, però, i recenti sviluppi della vicenda rendono quasi d’obbligo dare spazio alla seguente nota di Giulio Nardone, presidente nazionale dell’ADV ONLUS (Associazione Disabili Visivi) ONLUS e coordinatore nazionale per l’Universal Design (“progettazione universale”) della FISH.
Premessa: il Ponte dei Sospiri è quello che conduceva i detenuti all’antico, famigerato carcere veneziano dei “Piombi”, sul quale essi sospiravano. Davanti invece al moderno “Ponte della Costituzione” – o meglio, “della Costituzione violata” – sospiriamo noi persone con disabilità!…
Prosegue ancora, dopo otto anni, la telenovela di un ponte che dovrebbe essere una meraviglia dell’architettura moderna, ma che invece è un condensato di violazioni di legge. Anzi, a detta degli stessi tecnici comunali e a giudicare dai registri del pronto soccorso, sembra che transitarvi sia addirittura pericoloso per tutti.
La famigerata “ovovia”, ancora non collaudata, non risolve comunque i problemi di non vedenti e ipovedenti, ma neppure dei disabili motori per i quali è stata progettata. Accanto infatti all’incertezza sul suo effettivo funzionamento o sull’esposizione del fatidico “fuori servizio”, vi è la certezza dei 17 minuti – o nel 50% dei casi – dei 34 minuti necessari per fare lo stesso tragitto che il vaporetto, classico natante da trasporto veneziano, compie in 90 secondi. Anzi, sembra addirittura che la telecabina possa essere dannosa per la stabilità del ponte.
Fin dal 2003 avevamo denunciato alla stampa e al Comune di Venezia che l’ovovia era una “pezza peggiore del buco”, come dice la colorita espressione tradotta dal dialetto veneto. E ciò per vari motivi.
In primo luogo le nuove opere devono essere accessibili alle persone con diversi tipi di disabilità e la legge vieta il finanziamento di quelle che presentino barriere architettoniche.
Inoltre, le nuove opere devono essere accessibili di per se stesse e non rese tali a posteriori con espedienti aggiunti. Ciò è infatti ammesso dalla legge soltanto per l’eliminazione delle barriere esistenti in opere precedenti all’entrata in vigore della normativa in materia.
In secondo luogo, come scriviamo ormai da tanti anni, l’architetto Calatrava si è anche totalmente dimenticato delle persone con disabilità visiva, non avendo adottato alcun accorgimento e segnalazione per assicurare loro l’orientamento e la sicurezza. Non solo, ma ha addirittura “reso ipovedenti” anche le persone con dieci decimi di vista, a giudicare dalle decine e decine di cadute verificatesi sul ponte fin dai primi giorni della sua apertura, a causa della scarsa percepibilità dei gradini e della fantasiosa ed estrema variabilità della loro larghezza e altezza. Lo stesso materiale vetroso utilizzato per una parte di essi ha contribuito a creare false prospettive e a ingannare la vista degli utenti. Il progetto originario, del resto, prevedeva anche l’illuminazione dal basso dei gradini con fari posti al di sotto dell’arcata, per creare un suggestivo “tappeto di luce”, ma ci risulta che tale illuminazione sia stata subito abbandonata perché il conseguente abbagliamento rendeva i gradini del tutto invisibili.
Ultimamente si è poi manifestata un’altra grave pecca, questa volta di carattere strettamente tecnico: il progetto non aveva previsto che la spinta laterale esercitata dal ponte sulle due opposte rive – precarie come tutte le isole artificiali costruite nei secoli sulla laguna veneziana – le avrebbe allontanate progressivamente di qualche centimetro, rendendo necessari pesanti lavori di consolidamento.
In questi giorni leggiamo sul quotidiano «Il Gazzettino» che il collaudo dell’ovovia, il cui costo è nel frattempo raddoppiato, è ulteriormente rinviato, anche per il timore che questa aggiunta non prevista nel progetto originario accentui le tensioni cui il ponte e già sottoposto e faccia aumentare le fessurazioni presenti nei costosissimi gradini di vetro speciale.
Ora, anche ammettendo che il Comune decida di mettere l’ovovia nel “museo delle cose inutili”, invece di aggravare la statica del ponte e far lievitare i costi di manutenzione, a salvare la validità del progetto non può neppure invocarsi l’alternativa offerta dall’Amministrazione Municipale di utilizzare gratuitamente i vaporetti che da parecchi decenni svolgevano già la funzione di traghetto tra la Stazione Ferroviaria e Piazzale Roma, mezzo sicuramente dieci volte più rapido rispetto alla “teleferica fantasma”. Infatti, se è vero che i vaporetti sono un ottimo sistema per attraversare il Canal Grande, allora viene meno il carattere di opera di pubblica utilità del ponte, che è il requisito indispensabile per giustificare l’impiego del pubblico denaro.
Insomma, la si giri come si vuole, quest’opera, così come è realizzata, è indifendibile ed è almeno da sperare che l’architetto di Valencia, famoso proprio per la progettazione di ponti e incaricato di altre opere anche in Italia – abbia imparato qualcosa da questa esperienza, fallimentare per le casse del Comune di Venezia e per i diritti alla mobilità autonoma e sicura delle persone con disabilità.
*Presidente nazionale dell’ADV ONLUS (Associazione Disabili Visivi), coordinatore nazionale per l’Universal Design della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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