Chi scrive lo fa a nome di un gruppo di genitori che collaborano da anni, come rappresentanti di Associazioni di persone con disabilità, al lavoro di LEDHAScuola Lombardia [ove LEDHA sta per Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, N.d.R.], organismo tecnico di riflessione sui diritti e, nello specifico, sul diritto incomprimibile all’inclusione scolastica, sancito dalla Costituzione e dalla legislazione italiana.
Ci permettiamo di dissentire da quanto affermato sulle pagine di «Superando.it» dall’amico Salvatore Nocera, che consideriamo non solo il nostro mèntore e inesauribile fonte di autorevoli pareri giuridici – sempre pronto com’è a fornire alle nostre famiglie consulenza ad alto livello e a costo zero (merce rara, soprattutto di questi tempi) -, ma anche la nostra vera “memoria storica”, a ricordarci le fatiche compiute da lui e da altri per ottenere le buone leggi sull’integrazione scolastica e sociale, di cui siamo giustamente fieri.
Sollecitati dunque dall’invito da lui stesso formulato, vorremmo prendere posizione sul suo articolo intitolato I princìpi dell’inclusione vanno difesi a qualunque costo, le cui tesi, per altro, risultano parzialmente attenuate da nuove argomentazioni contenute in un articolo successivo (Norme sui BES: meno chiacchiere e più applicazione).
Le famiglie degli alunni con disabilità di questi tempi non sono “serene”, neppure all’indomani delle contraddittorie Direttive, Circolari e Note sui BES [Bisogni Educativi Speciali. Ci si riferisce alla Direttiva del 27 dicembre 2012, alla Circolare 8/13 e alla Nota 2563/13, N.d.R.].
Credevamo inizialmente che l’inclusione auspicata nei testi ministeriali fosse davvero inclusione per tutti e che il dibattito interminabile che è scaturito dalla loro pubblicazione tra gli addetti ai lavori servisse a smuovere la palude dell’indifferenza: la maggior parte delle scuole, per ora, è in posizione attendista e sta alla finestra, refrattaria, come spesso accade, al cambiamento, visto che le riforme annunciate sono “a costo zero” e non prevedono risorse aggiuntive.
Speravamo poi che il parlare di formazione iniziale e in servizio di tutti i docenti per i BES servisse anche a risvegliare il dibattito sul ruolo di pieno contitolare della classe che le norme (ancora) vigenti assegnano all’insegnante di sostegno per gli alunni con disabilità certificata. E anche a riportare l’attenzione sulle problematiche della disabilità grave, che difficilmente può essere gestita dai soli docenti curricolari, senza un lavoro di coordinamento dei docenti di sostegno, senza una previa e obbligatoria formazione di tutti i componenti del team docenti o del Consiglio di Classe, senza il funzionamento sostanziale e non solo formale dei Gruppi di Lavoro Operativi e di un’effettiva programmazione, con il coinvolgimento corale non solo degli insegnanti curricolari e di sostegno, in funzione di coordinatori, ma anche delle figure educative e assistenziali.
E ancora, speravamo che le Circolari parlassero anche – dopo il richiamo enfatico all’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della sanità, N.d. R.] – del ruolo del contesto, come sottolinea nei suoi vari approfondimenti anche Salvatore Nocera: come si fa a seguire una classe di 28 o 30 alunni, tra cui uno o – peggio – più alunni con disabilità, specie se grave? La norma sul numero degli alunni totali nelle prime classi in cui è presente un alunno con disabilità (Decreto del Presidente della Repubblica 81/09, articolo 5, comma 2), che prescrive il tetto di 20, massimo 22 alunni, in una classe ove ve ne sia uno con disabilità, non è generica ma vincolante. E invece non viene rispettata. Mancano ormai le compresenze (l’unica compresenza possibile è quella dell’insegnante di sostegno o dell’assistente ad personam) e sono ovunque merce rara la tanto sbandierata flessibilità didattica, il lavoro per gruppi, la peer-education, le classi aperte…
La formazione per gli insegnanti
I master finanziati dal Ministero per gli insegnanti in servizio – parliamo nello specifico di quelli attivati in Lombardia -, si occupano prevalentemente di disturbi dell’apprendimento e di altri BES per cui, secondo i documenti ministeriali, non è necessaria una “certificazione”. Tra le disabilità dedicano un’attenzione particolare all’autismo, che pure è una grande emergenza, mentre ignorano quasi totalmente la disabilità intellettiva, sebbene le anticipazioni statistiche pubblicate dal Ministero relative a questo anno scolastico la riportino con una percentuale di incidenza del 66,7% sul totale delle certificazioni di disabilità.
Quindi, l’attenzione nei confronti della disabilità appare oggi oscurata dai grandi numeri degli altri BES, che ammonterebbero a un milione di persone su quasi 8 milioni di alunni delle scuole statali e un po’ più di un milione di alunni delle scuole paritarie.
Si è dato troppo?
Il messaggio che filtra è pertanto il seguente: agli alunni con disabilità si è già dato molto e l’investimento per loro, in termini economici, è molto (troppo?) oneroso. Insegnanti di sostegno ed educatori – non mancano di ricordarcelo le indagini Treellle e i loro sostenitori [il riferimento è segnatamente al rapporto intitolato Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, Erickson, 2011, elaborato dalla Fondazione Agnelli, insieme all’Associazione TreeLLLe e alla Caritas Italiana, N.d.R.], costano infatti allo Stato e agli Enti Locali cifre eccessive. Meglio, in prospettiva, trasformare gli insegnanti di sostegno per circa un 15% del totale in specialisti itineranti e per la parte rimanente in contitolari pieni in organico funzionale. Così l’insegnante di sostegno porterà la sua esperienza – maturata in anni di formazione e di pratica didattica – ai docenti non formati, non è dato sapere se riattivando le compresenze o solo aggiungendosi all’organico dei docenti curricolari.
Ma questo non è da subito realizzabile e riguarda il futuro. Per ora occupiamoci prevalentemente degli altri BES e diamoci da fare con Direttive, Circolari, Note, Conferenze e Convegni perché i docenti curricolari capiscano la necessità della didattica flessibile e personalizzata per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali e comincino a mettere in pratica quello che in realtà era già tutto scritto nelle leggi vigenti e viene attuato solo in situazioni di eccellenza.
Non basta fare emergere le “risorse latenti”!
Parlare e riparlare di inclusione è giusto e sacrosanto, come è giusto denunciare l’esclusione strisciante esistente in troppe scuole comuni, con aule di sostegno divenute simili alle vecchie classi differenziali e il proliferare di scuole o sezioni potenziate e centri socio-educativi per piccoli, che non sono diversi dalle scuole speciali ancora esistenti (e con lunghe liste di attesa…).
In realtà, non basta invitare a fare emergere le “risorse latenti” nella scuola, bisogna dire come ciò deve realizzarsi, facendo i conti con l’esistente, situazione per situazione.
La “deriva” di cui parla Salvatore Nocera, ovvero il ricorso esclusivo alla risorsa insegnante di sostegno, con la conseguente esclusione dell’alunno dalla vita di classe e della scuola (pratica diffusa soprattutto nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, dove la delega in troppi casi è praticamente totale), può essere contrastata solo se per gli alunni – per tutti gli alunni (disabili compresi) -, vengono predisposte e garantite le altre risorse (formazione obbligatoria in didattica speciale di tutti i docenti; programmazione e predisposizione collegiale del progetto di vita individualizzato; ricorso al lavoro per gruppi cooperativi; classi aperte ecc.).
Fare ricorso non basta
Le famiglie, soprattutto quelle che hanno i figli con grave disabilità, non affrontano con leggerezza i ricorsi per ottenere le ore di sostegno o di assistenza educativa corrispondenti alle «effettive esigenze rilevate» (come da Legge 296/06, articolo 1, comma 605, lettera b): esse ricorrono alle vie giudiziarie solo dopo avere tentato tutte le vie stragiudiziali possibili e con notevole dispendio di tempo, soldi, fatiche e disagi, anche psicologici.
Spesso, poi, il vincere un ricorso non è garanzia di qualità e di presa in carico, perché lo Stato e l’Ente Pubblico sono deficitari nella loro funzione più peculiare e autorevole: non controllano, non valutano, non verificano che i soldi investiti vengano spesi bene. Si può vincere un ricorso e ritrovarsi, ad esempio, con un docente di ruolo, ma demotivato. Che ha scelto per ripiego un simile lavoro, magari perché si ritrova in una classe di concorso in esubero, o con un giovane specializzato che utilizza la scorciatoia dell’insegnamento di sostegno solo per passare in tempi più celeri allo status più ambito di insegnante curricolare.
Le famiglie – va detto in conclusione – ben volentieri farebbero a meno dei ricorsi, se tutti si occupassero anche dei loro figli, se i docenti curricolari (non solo i maestri, ma anche i futuri professori) fossero adeguatamente formati in didattica speciale, prima di intraprendere la professione, se si aggiornassero obbligatoriamente in servizio non solo sulle “nuove” tecnologie, ma anche sulla didattica per l’inclusione, se funzionassero davvero i Gruppi di Lavoro, per assicurare quella «pluralità di sguardi» che Andrea Canevaro pone come garanzia di un’osservazione corale e come premessa di un’efficace programmazione personalizzata e inclusiva, voluta, pensata e realizzata da tutta la “comunità educante”: insegnanti curricolari e di sostegno, educatori, assistenti, compagni e genitori di tutti gli alunni, BES e non BES.