Gli anni in cui i disabili «rallentavano la marcia del progresso»

di Valentina Boscolo
Erano gli anni del Terzo Reich, di un regime nazista che attuò la "prova generale" dell'Olocausto, con lo sterminio di massa di migliaia di persone con disabilità fisica e psichica, sin dagli anni Trenta del Novecento. Se n'è parlato molto, nei giorni scorsi, dopo il grande ascolto ottenuto in TV dal monologo di Marco Paolini, trasmesso da La7, con il titolo di "Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute». E se ne continua a parlare, come in questo piccolo "squarcio di memoria", che ben volentieri pubblichiamo

La Risiera di San Sabba, lager nazista di TriesteEra una giornata uggiosa come questa diciotto anni fa. Varcai la soglia del ex campo di sterminio, che fu ancor prima una risiera. Mi trovavo nel quartiere periferico San Sabba a Trieste.
L’odore di terrore e di morte pervade tutt’oggi ogni anfratto di quel luogo e le proiezioni di video originali dell’epoca, in cui si vedevano ebrei, vecchi, omosessuali e disabili condotti verso la loro fine, riecheggiano ancora nella mia memoria, quando a sette anni appena, con gli occhi pieni di terrore, stringevo la mano di mia madre, chiedendole: «Succederà anche a me?».
Io e i miei compagnucci di classe fummo guidati all’interno di quel complesso dell’orrore, come in una qualsiasi gita d’istruzione, ma così non fu per me e da allora non ho mai più dimenticato…
La memoria è qualcosa di misterioso che ci aiuta a selezionare cosa ricordare e cosa resettare dal nostro cervello. Non sempre tuttavia essa mantiene solo ricordi piacevoli, ci sono eventi che, per quanto traumatici siano, non se ne vanno più dalla mente.
La memoria può essere considerata sia come collettiva, che come individuale. Il termine “memoria collettiva” fu coniato negli anni venti del Novecento da Maurice Halbwachs in contrapposizione al concetto di memoria individuale. La memoria collettiva è condivisa, trasmessa e anche costruita dal gruppo o dalla società; essa ci aiuta come individui a non travisare e scordare gli avvenimenti passati, facendo nascere in noi il desiderio di compartecipazione sociale, la cosiddetta “cittadinanza attiva”.
Accade a tutti che in un dato momento della propria vita, determinati avvenimenti storici coinvolgano in modo particolare e questo è possibile solo grazie alla memoria collettiva che ci fa venire a conoscenza di eventi passati.

Allo scopo di non far dimenticare alle nuove generazioni l’orrore perpetrato durante il regime nazista, si è da poco creata a livello nazionale una ricorrenza denominata appunto Giornata della Memoria, istituita con la Legge 211/00 dal Parlamento Italiano, aderendo in tal modo alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo e del fascismo.
L’articolo 1 della Legge 211/00 così definisce le  motivazioni del Giorno della Memoria: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Si scelse dunque questa  data in ricordo del  27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche arrivarono presso la località polacca di Auschwitz, scoprendo il suo campo di concentramento e liberandone i pochi sopravvissuti.
Quella scoperta e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.

È importantissimo che si mantengano queste ricorrenze storiche perché ci fanno ritrovare un’unità nazionale e un sentimento patriottico che negli ultimi anni si sta rischiando di perdere.
Quest’anno – tra le tante iniziative promosse per il 27 gennaio – mi ha molto colpito lo spettacolo di teatro sociale, rappresentato dall’attore Marco Paolini e al centro della serata in diretta TV del 26 gennaio su La7, intitolato Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute.
Per l’occasione l’attore veneto si è recato nel piccolo Teatro Cucina dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, portando in scena la storia del massacro delle persone con disabilità tedesche, messo in atto dal regime nazista tra il 1934 e il 1945.
In due ore di monologo, Paolini – coadiuvato solo dall’intervento sporadico di una traduttrice tedesca molto defilata (in una scenografia essenziale per non dire ininfluente) – è riuscito a catapultare gli ascoltatori nella narrazione dei fatti con un pathos altissimo e a tratti straziante.
Nel corso della pièce teatrale, l’attore ha descritto con dovizia di particolari le ricerche “eugenetiche” del nazismo che portarono prima alla sterilizzazione e poi alla soppressione delle persone con disabilità fisica e mentale, per mano di chi doveva invece averne cura. E tutto ciò perché questi soggetti – secondo gli attivisti del Terzo Reich – «rallentavano la marcia del progresso sociale» e mal si inserivano nel concetto di “razza pura” portato avanti in quegli anni. Andavano pertanto eliminati con ogni mezzo.

Ciò che più mi ha sconvolta, tra le tante atrocità, è stato che le famiglie, rassicurate dai stessi medici di famiglia, mandavano esse stesse i loro figli in quelli che venivano rappresentati come luoghi di cura, che erano invece luoghi di tortura e infine di morte.
Il poeta veneziano Aldo Camerino, anch’egli ebreo, ben rappresenta il clima di terrore e annichilimento di quegli anni nelle sue due poesie Parole dall’esilio Paura. Nella prima scrive: «Freme bruciante il dolore / senza rivolta. Ma non appassisce / la voglia di pianto che non viene. / Quante parole conobbi / ed esaltai con pienezza umana / e vissi, mie e di compagni / che adesso sono perdute voci. / Mesi di tempo, anni di tempo / fanno una ressa brutale / di muraglie senza porte».
Nella seconda, invece: «Poi si scendeva, come in un labirinto / nel fondo dell’animo, ed erano / gonfiori e rotti bagliori / e si muovevano fiamme e tristezze».

Lascio al Lettore le sue considerazioni e il tempo di metabolizzare ciò che ha letto, certa che anche questo breve articolo possa essere un piccolo tassello utile a creare la memoria individuale e di conseguenza spingere chi legge ad essere un cittadino riconoscente e attivo, come ogni buon cittadino dovrebbe essere.

Per quanto riguarda la nostra presentazione della serata-evento del 26 gennaio su La7, Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, con Gad Lerner e Marco Paolini, cliccare qui. Suggeriamo anche la lettura di Il valore del monologo di Paolini e la metafora della disabilità di Matteo Schianchi (cliccare qui) e di Grazie, Paolini di Franco Bomprezzi (cliccare qui).

Sullo sterminio delle persone con disabilità in epoca nazista, oltre alla consultazione del sito www.olokaustos.org, suggeriamo poi la lettura – sempre nel nostro sito – dei seguenti testi:
– Crimini dimenticati (a cura di Stefano Borgato) (cliccare qui)
– Non c’è storia senza etica (di Luisella Bosisio Fazzi) (cliccare qui)
– Il passato che non deve tornare (cliccare qui)
– Non dimentichiamo quello sterminio di «connazionali improduttivi» (cliccare qui)
– L’olocausto rimosso delle persone con disabilità (cliccare qui)
– Lo sterminio delle persone con disabilità come preludio dell’Olocausto (di Giovanni De Martis) (cliccare qui)
– Tragedie di ieri e di oggi: la lunga storia dei pregiudizi (cliccare qui)
– Testimonianze silenziose (cliccare qui)
– Iniziative per non dimenticare (cliccare qui)

Share the Post: