Femmina o maschio: è diverso anche nella disabilità

Intervista a Luisella Bosisio Fazzi*
«Ascoltare le donne con disabilità, guardandole come donne e solo successivamente come persone con disabilità»: è questo il consiglio che Luisella Bosisio Fazzi, presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità), recentemente premiata a Milano per il suo impegno, di sente di dare a chi fosse interessato a promuovere la causa delle donne con disabilità, che continuano a vivere - nel nostro Paese più che in molti altri - situazioni di discriminazione multipla

Luisella Bosisio FazziChiedere alle donne con disabilità di raccontarsi. Narrare come vivono, i loro desideri, i loro successi, le loro difficoltà è sicuramente importante. E tuttavia è certamente importante conoscere anche quali sono le politiche portate avanti a livello nazionale e internazionale in tema di disabilità al femminile.
Ne abbiamo parlato con Luisella Bosisio Fazzi, presidente del
CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità), l’organismo che sino ad oggi ha rappresentato le istanze delle persone con disabilità presso il Forum Europeo sulle Disabilità (EDF) e che ha lavorato per costituire il Forum Italiano sulla Disabilità (FID). (Simona Lancioni)

Il Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND) è un organismo indipendente e unitario italiano che rappresenta le istanze delle persone con disabilità e delle loro famiglie all’interno delle azioni e delle politiche europee (è fondatore e membro del Forum Europeo sulle Disabilità – EDF), e mondiali (è stato uno degli organismi accreditati presso le Nazioni Unite per la stesura della Convenzione sui Diritti delle persone con disabilità). Lei è l’attuale presidente del CND. Può descriverci brevemente il percorso personale che l’ha portata a un impegno così importante?
«Premetto che il CND con il CID.UE (Consiglio Italiano dei Disabili per i Rapporti con l’Unione Europea) nel 2008 hanno costituito il Forum Italiano sulla Disabilità (FID). Questa azione di fusione dei due Consigli ha permesso l’unitarietà del movimento della disabilità in Europa. Entro la fine di quest’anno, i due organismi si scioglieranno e l’unica rappresentanza italiana presso l’EDF sarà appunto tenuta dal FID.
Tornando alla domanda, il mio percorso personale è iniziato negli ultimi anni Novanta, quando la mia Associazione (Associazione Genitori de La Nostra Famiglia) mi delegò a rappresentarla nel CND. Dopo alcuni anni di “gavetta”, nel marzo del 2001 l’Assemblea del CND mi ha eletta presidente, carica che tuttora ricopro e che porterò fino alla succitata chiusura del Consiglio».

In che misura le donne sono rappresentate all’interno del CND? Quali azioni sono state (e/o verranno) intraprese da questo organismo in tema di disabilità al femminile?
«Il CND ha una struttura organizzativa un po’ anomala, in quanto non è “strutturata”, appunto, nel senso tradizionale del termine, ma usa per le sue attività le strutture delle associazioni socie. L’AISM, ad esempio (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), ha fin dall’inizio messo a disposizione la sua Segreteria di Roma (con il personale), e nei primi anni ha sostenuto alcune spese fino al raggiungimento dell’autonomia economica del CND. Questo ha significato che il CND non aveva un “gruppo donne”, ma usava, nelle sue azioni a favore delle donne con disabilità, le risorse e le esperienze femminili in materia delle varie associazioni. Così, i vari manifesti EDF delle donne, i seminari e i progetti DAPHNE, le attività di analisi e valutazione della condizione femminile firmate dal CND erano il risultato di questa collaborazione interassociativa.
Per il futuro si sta cercando il collegamento con le associazioni che si occupano del Rapporto Supplementare sulla CEDAW (la Convenzione ONU contro la discriminazione sulle donne), che ne hanno già pubblicato uno nel luglio di quest’anno [se ne legga ampiamente nel nostro sito, cliccando qui, N.d.R.], al fine di rendere sempre più visibile la condizione delle donne con disabilità, così come è stato fatto con il monitoraggio della Convenzione sull’Infanzia e l’Adolescenza».

In numerose occasioni pubbliche, lei ha sottolineato la discriminazione multipla a cui sono soggette le donne con disabilità. Le sembra che la condizione della donna con disabilità sia cambiata negli ultimi anni? E se sì, in che modo?
«Se devo essere sincera vedo pochi, se non nessun cambiamento. Una condizione ancora troppo discriminata non solo nel mondo non disabile, ma, purtroppo, anche nel movimento della disabilità.
Le donne con disabilità non vengono percepite come donne ma come “disabili”, e questo non permette che le loro istanze vengano riconosciute come reali e concrete. Non riconoscere la differenza di genere alle bambine, alle ragazze, alle donne con disabilità impedisce loro di formare una propria identità femminile».

Disabilità e invisibilità vanno spesso di pari passo. Se la persona disabile è una donna, l’invisibilità tende a raddoppiare. Qual è, a suo parere, il miglior antidoto per l’invisibilità?
«Riconoscere la femminilità; percepirle come persone femminili; riconoscere che essere femmina o maschio è diverso anche nella disabilità».

Nel Global Gender Gap Report 2011, l’ultimo rapporto sul divario delle opportunità tra uomini e donne del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 74° posto in un elenco di 135 Paesi. In base alla sua esperienza, come si collocano le donne con disabilità italiane rispetto alle donne con disabilità europee? E rispetto a quelle dei Paesi che hanno preso parte alla stesura della Convenzione ONU?
«Inizio con un dato nazionale: nelle scuole italiane studiano oltre 130.000 alunni con disabilità (circa 73.000 nelle primarie e 29.000 nelle secondarie), di cui solo un terzo di sesso femminile. Inoltre le donne che lavorano percepiscono un salario in media inferiore del 46% rispetto a quello degli uomini, anche di fronte a una parità assoluta di titolo di studio e di competenze specifiche sul luogo di lavoro.
Il Global Gender Gap Index esamina la differenza – il gap, appunto – tra uomini e donne in quattro fondamentali categorie: partecipazione e opportunità economiche; titolo di studio; salute e sopravvivenza; potere politico. Il meccanismo che misura questo indice è molto complesso e classifica i Paesi secondo i loro divari di genere. Il loro punteggio può essere interpretato come la percentuale di disuguaglianza tra donne e uomini. Più è alto il punteggio, maggiore è il divario.
Ebbene, 74 è il punteggio che ha ottenuto l’Italia contro un punteggio di 4 della Svezia o 5 dell’Irlanda, un 28 dell’Argentina e un 59 della Tanzania. Dopo di noi, in Europa, c’è solo l’Albania, con un punteggio di 78. Purtroppo se esistono dati e statistiche sulla condizione delle donne, non esistono ricerche approfondite sulla condizione delle donne con disabilità».

Lo scorso 24 novembre, durante l’incontro denominato Stop alla violenza, promosso dalla Provincia di Milano per celebrare la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], il suo impegno in favore delle donne è stato premiato. Un riconoscimento che rende merito alla sua insigne attività. Qual è stato il suo messaggio in questa circostanza?
«Ho inteso il premio non alla mia persona né alle mie attività, ma piuttosto come un riconoscimento da dedicare a tutte le bambine, ragazze e donne con disabilità in Italia e nel mondo. Vivono il doppio svantaggio dovuto alla condizione di disabilità e quello derivante dalla loro condizione femminile, e questo ha favorito la violazione dei loro diritti. Sono invisibili perché si pensa che le donne e gli uomini con disabilità abbiano le stesse necessità; le politiche di genere non influenzano la loro condizione e le politiche sulla disabilità non tengono conto del genere; non sono mai considerate in relazione alla femminilità, alla maternità, alla genitorialità, alla bellezza; detengono il più alto tasso di non impiego e sono più spesso escluse dai sistemi educativi; in caso di istituzionalizzazione, non ricevono attenzione specifica al loro essere donna; per loro è molto difficile accedere ai programmi di prevenzione di salute generale e riproduttiva; sono normalmente dissuase a non avere figli e sono a più alto rischio ad essere sottoposte, senza il loro consenso, a sterilizzazione o aborti forzati; a loro il più alto tasso di violenze ed abusi subiti, in special modo le donne con malattie psichiatriche, intellettive e con disabilità sensoriali; nel caso in cui una donna con disabilità sfugga ad una violenza non esistono servizi di protezione adatti a loro.
Per ultimo vorrei dedicare una parte di questo premio a quelle donne, mamme, nonne, sorelle, mogli che accudiscono familiari con disabilità, obbligate in questo dalla mancanza totale di servizi a disposizione. Donne che abbandonano l’impiego, che non lo possono ricercare o che si accollano oltre a questo impiego le azioni di cura e di assistenza dei loro familiari con disabilità».

Quali consigli e quali avvertimenti darebbe a chi fosse interessato/a a promuovere la causa delle donne con disabilità?
«Ascoltare le donne con disabilità guardandole come donne e solo successivamente come persone con disabilità».

*Presidente del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità). Intervista curata da Simona Lancioni per il sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), nel quale è già apparsa, con il titolo Essere femmina o maschio è diverso anche nella disabilità. Viene qui ripresa, con lievi riadattamenti, per gentile concessione del Coordinamento del Gruppo stesso.

Il Gruppo Donne UILDM
13 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, un centinaio tra articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, circa 80 segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, più di 450 segnalazioni bibliografiche e circa 600 risorse internet schedate: parlano da sole le cifre del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca ArcaduAnnalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità (il nostro sito se n’è occupato con l’articolo disponibile cliccando qui).

L’indirizzo del Gruppo Donne UILDM è www.uildm.org/gruppodonne. Al repertorio di cui si è detto, si accede cliccando qui. Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).

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