Legge 67 sulle discriminazioni: con fermezza e cognizione di causa

Intervista a Salvatore Nocera*
Solo così, infatti, si possono cogliere tutte le importanti potenzialità offerte da quella norma, in ambito di tutela dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Ed è quanto emerge chiaramente dall'intervista a Salvatore Nocera, avvocato e vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap), che qui presentiamo, a cura dell'ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi)

Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap)L’utilità di uno strumento legislativo si misura anche dal potere deterrente nei confronti delle azioni illecite che contrasta e in particolare, nel mondo delle persone con disabilità (che poi, non stanchiamoci di ricordarlo, è il mondo di tutti), vi è una norma recente che contiene un forte potenziale dissuasivo nei confronti degli atti di discriminazione: la Legge 67 del 2006, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, ritenuta dalle nostre famiglie come uno strumento fondamentale per intimare, con fermezza e cognizione di causa, la cessazione di qualsiasi atto discriminatorio nei loro confronti.
Ma per poter agire “con fermezza e cognizione di causa” è necessario avvalersi del consiglio di professionisti esperti e votati alla nostra causa. Chiediamo quindi all’avvocato Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), di rispondere ad alcune domande sull’argomento.

La Legge 67/06 (Misure per la tutela delle persone con disabilità vittime di discrinazioni) ha introdotto nell’ordinamento italiano strumenti di protezione nei riguardi delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Questa norma ha già prodotto apprezzabili risultati sul piano pratico?
«Utile, innanzitutto, è sapere che l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) ha dedicato quest’anno l’intera sessione del suo seminario annuale sui diritti delle persone con disabilità – condotto dal cosiddetto “Tribunale dei Diritti dei Disabili” – proprio agli ambiti di applicazione della Legge 67, ovvero ai casi di discriminazione. Se ne può leggere sia sul sito di tale associazione che in Superando [cliccando rispettivamente qui e qui, N.d.R.].
In ogni caso l’attuale orientamento prevalente della Giurisprudenza e degli esperti è che la legge vada applicata solo quando non vi siano altre norme specifiche cui fare ricorso. Ad esempio apostrofare con parolacce una persona con disabilità rientra direttamente nel caso delineato di ingiuria e quindi il conseguente risarcimento dovrebbe essere richiesto ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile. Un caso invece come quello occorso qualche giorno fa a Treviso, circa l’invito dell’avventore di un ristorante a tenere a casa un bimbo Down o il caso anch’esso comparso sui giornali di un’alunna con disabilità alla quale per partecipare a un viaggio di istruzione di alcuni giorni con la classe era stato richiesto di provvedere alle spese dell’accompagnatrice [se ne legga in questo sito cliccando qui, N.d.R.], sono certamente ipotesi rientranti nella Legge 67/06».

La norma di cui parliamo ha introdotto il concetto di «discriminazione indiretta», che a noi appare assai importante. Vuole illustrarcelo brevemente?
«L’articolo 2 della Legge 67 è interessante perché ai commi 2 e 3 definisce come discriminazione non solo dei fatti – come ad esempio un comportamento o una prassi – ma anche degli atti normativi, come una disposizione o un criterio. Ciò è importante perché mentre il già citato articolo 2043 del Codice Civile consente solo il risarcimento dei danni in presenza di un fatto o comportamento «doloso o colposo», qui si parla anche di comportamenti (o addirittura di provvedimenti normativi) per i quali il loro autore non potrebbe essere accusato nemmeno di colpa lieve (non a caso si parla di comportamenti “apparentemente neutri”).
La norma, inoltre, prevede espressamente anche il risarcimento di danni non patrimoniali, come il danno biologico, quello psicologico, quello morale e così via.
A tal proposito è bene tenere presente che – malgrado il difforme parere di un luminare come il professor Paolo Cendon – la Corte di Cassazione ha ritenuto tali danni risarcibili solo quando violano un diritto costituzionalmente protetto, come ad esempio un diritto fondamentale della persona di cui all’articolo 2 della Costituzione, il diritto alla salute di cui all’articolo 32 della medesima o ancora il diritto all’inclusione scolastica delle persone con disabilità di cui all’articolo 34, così come interpretato dalla Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale».

Ma la legge può essere utilizzata per tutelare le persone con disabilità sia nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni che dei privati?
«La Legge 67 riguarda qualunque discriminazione diretta, indiretta o assimilata, che venga effettuata volontariamente o involontariamente da chiunque, sia esso soggetto pubblico o privato, singolo o collettivo».

Alle famiglie di persone con disabilità sembra per altro assai importante che vengano legittimate ad agire anche le Associazioni su delega degli interessati (articolo 4): ma in caso di discriminazioni che rivestano un carattere collettivo, le Associazioni possono agire direttamente?
«Certamente. Infatti l’articolo 4 è strutturato in modo molto corretto: al comma 1 si prevede che possa agire solo l’interessato, al comma 2, invece, si prevede l’intervento dell’Associazione, su cause già promosse dagli interessati e solo su loro delega. Ciò per rispetto dello stesso interessato che potrebbe non volere il clamore della stampa a seguito della presenza delle Associazioni o non volere nemmeno la presenza stessa di un’Associazione.
Allo stesso comma 2, poi, è prevista la facoltà dell’Associazione di promuovere ricorsi amministrativi contro atti discriminatori. Personalmente ritengo che debba trattarsi di atti generali e non personali, perché non si comprenderebbe il vincolo della delega che sarebbe prevista solo per le azioni civili e non anche per quelle individuali amministrative e la cosa parrebbe incoerente.
Al comma 3, infine, si prevede la facoltà delle Associazioni di intervenire anche per i casi di discriminazione indiretta e assimilata, di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 2, ma solo se collettivi, sempre, a mio avviso, per non violare  la libertà di azione solitaria del singolo. Del resto, se una di queste ipotesi riguarda un singolo, basta che quest’ultimo, se vuole, deleghi l’Associazione, facendo così ricadere il caso nel caso nel comma 1 dell’articolo 4».

Nessuna scusa, quindi, per tollerare ancora atti che offendono, prima ancora della legge, la civile convivenza e la stessa  natura umana. (A cura di ABC – Associazione Bambini Cerebrolesi).

*Avvocato, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Ricordiamo ancora che il testo integrale della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), alla quale è dedicata la presente intervista, è disponibile cliccando qui.
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