Com’era già stato segnalato su Superando in merito alle Sentenze 932/11, 933/11 e 938/11, i giudici del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia, sede di Brescia avevano sostenuto in tali occasioni che in assenza del Decreto Amministrativo del Presidente del Consiglio dei Ministri che doveva precisare gli interventi volti a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» (previsto dal Testo Unificato dei Decreti Legislativi 109/1998 e 130/2000), non sarebbe stata «immediatamente precettiva» la disposizione secondo cui gli assistiti, qualora siano soggetti con handicap in condizione di gravità o ultrasessantacinquenni non autosufficienti, devono contribuire esclusivamente sulla base delle loro personali ricorse economiche (redditi e beni, dedotte le franchigie), senza alcun onere per i congiunti conviventi o non conviventi. In parole semplici, non essendo stato emanato il Decreto di cui sopra, i Comuni potevano richiedere contributi anche ai parenti.
Ai giudici del TAR di Brescia il CSA (Coordinamento Sanità e Assistenza fra i Movimenti di Base) – che dal 1971 ininterrottamente si occupa anche delle questioni relative alle contribuzioni economiche – aveva fatto presente che il Decreto di cui sopra non poteva essere emanato, in quanto le disposizioni concernenti le prestazioni dirette a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» erano state approvate dal Parlamento con la Legge 328/00 di riforma dell’assistenza, in cui sono contenute dettagliatissime specificazioni negli articoli 14 (Progetti individuali per la persona disabile), 15 (Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti) e 16 (Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari).
Ebbene, nella nuova Sentenza 1284/11, depositata il 31 agosto scorso, il TAR di Brescia non solo non ha tenuto in alcuna considerazione la piena e immediata applicabilità delle norme che non consentono agli Enti Pubblici di richiedere contributi economici ai parenti dei soggetti con handicap grave (nonché agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti), ma stravolgendo le norme delle leggi vigenti (articolo 25 della Legge 328/00 e articolo 2 del Testo Unificato dei Decreti Legislativi 109/98 e 130/00), ha addirittura ritenuto valida la richiesta avanzata dal Comune di Bergamo nei riguardi del fratello di C., non convivente con il ricoverato colpito da handicap grave.
Infatti, il citato articolo 2 di quel Testo Unificato precisa che per le richieste di contribuzione l’unico riferimento è il «nucleo familiare di appartenenza», ciò che riguarda tutti gli assistiti non colpiti da handicap grave e gli ultrasessantacinquenni autosufficienti.
Inoltre, sulla base delle disposizioni del Garante per la Protezione dei Dati Personali – meglio noto come “Garante per la Privcy” – il Comune di Bergamo non solo non poteva e non può chiedere contributi ai congiunti non conviventi con l’assistito, ma non poteva e non può nemmeno richiedere alcuna informazione (nominativi, indirizzi, dati sulle risorse economiche ecc.) riguardante i succitati congiunti (se ne legga cliccando qui, nella Newsletter del Garante n. 276 del 12 maggio 2006). Trattandosi poi di persona con handicap in situazione di gravità, sulla base delle sopra indicate norme del Garante, non potevano nemmeno essere richiesti i dati relativi alle risorse finanziarie dei congiunti conviventi.
Poiché infine il ricovero dei soggetti con handicap grave è un loro diritto pienamente esigibile (si vedano a tal proposito le ottime Sentenze del TAR di Milano 784/11 e 785/11, che confermano l’obbligo dei Comuni di dare applicazione ai LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, come da Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, le cui norme sono cogenti in base all’articolo 54 della Legge 289/02), occorrerebbe avere i necessari elementi di conoscenza per sapere in base a quali motivi il padre di C. si era impegnato a corrispondere somme di denaro non obbligatoriamente dovute.
Occorre a questo punto osservare che risulta quasi “patetica” l’adesione dei Giudici del TAR di Brescia – contenuta nella recente Sentenza di cui si parla – alle affermazioni del Consiglio Comunale di Bergamo, secondo cui «parrebbe contrario ad ogni principio di ragionevolezza che il Comune si limitasse, a fronte di una qualsiasi richiesta di contribuzione, a disporre l’erogazione dell’intera somma richiesta per il pagamento delle rette di ricovero senza tenere in debito conto la situazione patrimoniale del richiedente e dei familiari» e che «è preciso dovere dell’Amministrazione valutare la quota di sopportabilità di ogni nucleo familiare che compone la rete di sostegno, secondo le proprie capacità economiche, con il fine di responsabilizzare tutta la rete familiare, senza gravare solo ed esclusivamente nel nucleo familiare convivente con l’utente».
Le sopra riportate affermazioni sono assai inquietanti, in primo luogo perché nettamente in contrasto con le leggi vigenti. Com’è noto, infatti, il comma 2 ter dell’articolo 3 del più volte citato Testo Unificato stabilisce che, qualora gli assisiti siano soggetti con handicap in situazione di gravità o ultrasessantacinquenni non autosufficienti, essi debbano contribuire esclusivamente sulla base delle loro personali risorse economiche, redditi e beni.
Stupisce altresì che non sia stata nemmeno considerata la norma fondamentale della nostra Costituzione in materia, e cioè l’articolo 23 che recita: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», ciò che non consente ai Comuni di assumere in materia iniziative al di fuori delle leggi in vigore.
Circa poi le affermazioni del Comune di Bergamo – ritenute valide dai Giudici del TAR di Brescia – occorre precisare che numerose sono le prestazioni socio-assistenziali assolutamente corrette, ma fornite a lavoratori e a persone abili al lavoro proficuo, che vengono erogate indipendentemente dalle condizioni economiche dei conviventi: ad esempio i sussidi per i disoccupati e per i cassintegrati.
E ancora, vi sono interventi, anch’essi di natura socio-assistenziale, che vengono forniti – giustamente anche in questo caso – senza tener conto della situazione economica dei congiunti non conviventi, ad esempio: contributi per il pagamento dell’affitto dell’alloggio; integrazioni al minimo delle pensioni; provvidenze elargite con la Social Card; gratuito patrocinio. Senza dimenticare che gli alloggi dell’edilizia economica-popolare vengono assegnati sulla base delle condizioni economiche della persona o del nucleo richiedente, senza tenere in alcuna considerazione – giustamente anche in questo caso – le risorse economiche dei congiunti non conviventi. Dette prestazioni, infatti, sono correttamente assicurate indipendentemente dalle risorse dei congiunti, allo scopo di garantire autonomia e libertà alle persone e ai nuclei familiari in difficoltà.
Pertanto sono anche molto positive le norme dei citati Decreti Legislativi 109/98 e 130/00, in quanto rispondono ai medesimi principi delle sopracitate prestazioni socio-assistenziali e in tal senso il Coordinamento qui rappresentato da chi scrive confida nella loro piena applicazione.
In conclusione, è auspicabile che le prossime sentenze del TAR di Brescia in materia di contribuzioni economiche tengano conto di tutte le vigenti norme di legge, con particolare riguardo alle disposizioni sui Livelli Essenziali di Assistenza, che stabiliscono diritti pienamente e immediatamente esigibili alle richieste di residenzialità delle persone colpite da handicap in situazione di gravità, richieste che devono essere attuate indipendentemente dalle condizioni economico-sociali degli interessati e dei loro congiunti conviventi.
*Coordinamento Sanità e Assistenza (CSA) fra i Movimenti di Base di Torino.
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