Per qualche giorno ho nutrito l’illusione che i festeggiamenti per l’Unità d’Italia stessero restituendo al Paese e ai suoi abitanti un autentico senso di appartenenza a una storia comune, e soprattutto a valori condivisi, rappresentati dalla Costituzione.
Ho perfino pensato che poteva essere un punto di svolta civile, “prepolitico”, non legato cioè alle continue e insopportabili lacerazioni provocate da un malinteso bipolarismo. Mi sono riconosciuto nelle parole del presidente Napolitano [se ne legga cliccando qui l’intervento letto in apertura delle celebrazioni del 17 marzo, N.d.R.], e mi ha fatto piacere vedere strade e teatri pieni di gente sorridente, con la bandierina tricolore e la coccarda. Il fatto è che pensavo all’Italia dello “stare insieme”, quella che riesce quasi sempre a trovare una soluzione ragionevole ai problemi e alle difficoltà, facendo appello a tolleranza, umanità, laboriosità, onestà, amicizia.
Mi sono ricordato di quando, da ragazzino, studiavo il Risorgimento su libri pieni di retorica nazionalista, ma comunque capaci di emozionarti per un’epopea nazionale all’interno della quale non era così difficile riconoscere almeno qualche risultato utile per tutti: la lingua comune, l’istruzione, la salute, la democrazia.
Mi sono sempre sentito “italiano” forse perché, nato a Firenze, a causa dei trasferimenti cui mio padre doveva sottoporsi per lavoro, ho vissuto non solo in Toscana, ma anche in Abruzzo e nel Veneto, prima di scegliere, da adulto, Milano e la Lombardia. Perciò ho amici e buoni ricordi in mezza Italia, e l’altra metà l’ho conosciuta negli anni dell’impegno sociale, nelle associazioni delle persone con disabilità, ad esempio.
Quando, da presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), sono stato praticamente in tutte le Regioni italiane, vedendo da vicino le differenze e i punti in comune, apprezzando il lavoro difficile che famiglie e persone con disabilità devono compiere ogni giorno per combattere contro pregiudizi, barriere, ingiustizie, carenze normative e di servizi.
Ero dunque quasi sereno, sia pure senza che ve ne fosse davvero motivo, solo per una sensazione gradevole di una ventata di aria buona in un periodo così difficile di convivenza politica e sociale. Poi mi sono imbattuto nell’ultima copertina del settimanale «Panorama» [la si veda cliccando qui, N.d.R.]. Il titolo non ammette sfumature: Scrocconi. L’immagine non potrebbe essere più chiara: una carrozzina stilizzata, su cui siede un Pinocchio altrettanto stilizzato. Il sommario che rimanda a un’inchiesta “esclusiva” recita così: Invalidità inesistenti, certificati falsi, pensioni regalate. Ecco chi sono i furbi (e i loro complici) che fregano l’Inps. A nostre spese.
Ho avuto un trasalimento e un senso di nausea. Mi sono ricordato subito dei manifesti del nazismo che hanno accompagnato la campagna per la sterilizzazione dei disabili e poi per l’eutanasia, il cosiddetto “Programma T4” [se ne legga nel nostro sito tra l’altro cliccando qui, N.d.R.]. Anche allora, in piena crisi economica, comparvero manifesti (se ne veda un esempio cliccando qui), che legavano strettamente i sacrifici economici della povera gente agli sprechi per tenere in vita persone “improduttive”. I simboli, infatti, servono in epoche di questo tipo a deviare l’attenzione verso nemici sui quali scaricare le tensioni sociali.
In Italia la campagna sui falsi invalidi, partita su alcuni dati di fatto, comunque circoscritti e rispetto ai quali è necessario un approfondimento anche statistico, come fa da tempo, con grande rigore, la FISH (Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap), si è trasformata nel tempo in un esempio vergognoso di come si possano deviare risorse e competenze pubbliche verso obiettivi di drastica riduzione complessiva della spesa sociale, eliminando, attraverso procedure discutibili e spesso disumane di controllo dello stato di invalidità civile, pensioni e indennità assolutamente legittime (come testimonia l’altissima percentuale di ricorsi alla Magistratura vinti dai Cittadini).
Lo scriviamo e lo documentiamo da tempo. Le fonti non mancano, basta consultarle, basta fare bene il mestiere di giornalista, che richiede competenza e umiltà. E invece Stefano Vespa, fratello del più noto Bruno, si lancia in alcune pagine di densa scrittura, che sono semplicemente il “copia e incolla” delle veline dell’INPS, già smentite dagli stessi medici dell’Istituto. L’inchiesta “esclusiva”, quindi, fa cadere le braccia e non solo.
Ma al di là del giudizio sul pezzo pubblicato da «Panorama» (quanta distanza col newsmagazine al quale ero abbonato da giovane, quando lo dirigeva Lamberto Sechi…), la questione più grave e inquietante è la scelta di dedicare la copertina del settimanale a questo tema, nelle giornate dell’incubo nucleare, della crisi libica, dei tanti processi al premier, del federalismo che passa, della riforma della giustizia, tanto per citare argomenti assolutamente bipartisan.
Il direttore di «Panorama» non ha certo scelto questo tema in modo casuale. C’è un pensiero dietro, c’è sicuramente un disegno ben preciso. Lo stigma di quella copertina è gravissimo: in copertina non si distingue, si fa di ogni erba un fascio. Si indica la carrozzina, simbolo riconoscibile da tutti per denotare la disabilità, quella vera. Ritengo questa scelta assolutamente vergognosa e scorretta deontologicamente. Ovviamente siamo in regime di libera informazione, e l’articolo 21 della Costituzione vale per tutti, anche per «Panorama». Ma il danno arrecato questa volta a un’intera parte del Paese è troppo grave per passare in silenzio.
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Fratelli d’Italia o “scrocconi”?, qui ripreso con alcuni adattamenti.
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