La speranza è al servizio della volontà, la volontà è frutto del desiderio e il desiderio è generato dalla potenza dello spirito. Ho imparato che nella vita ci sono individui che reagiscono con più prontezza perché nelle avversità intuiscono la gratificazione. Al tempo stesso, essi colgono la sfida e ne presagiscono la bellezza del karma. La speranza presuppone la fede.
Quando il 10 aprile scorso, al mio arrivo all’Aeroporto di Kigali [capitale del Ruanda, N.d.R.], ho incrociato lo sguardo generoso di Padre Norberto, è come se avessi avuto un’illuminazione: da lì a poco tempo sarebbe successo qualcosa di meraviglioso.
Il giorno seguente, al mio arrivo a Goma, alla Grande Barriere, il confine tra Congo e Ruanda, c’erano ad attendermi tante persone che, con mio grande stupore, mi hanno accolto come si accoglie “un dono”. Per questo il mio impegno nei loro confronti è diventato oggi una ragione di vita.
La prima persona che mi è venuta incontro è stato Frère Jean Mbeshi, direttore del Centro Protesi Shirika la Umoja, che subito mi ha voluto far conoscere un programma denso di attività, dalla conferenza stampa del giorno seguente alla gara su strada sui tricicli, dall’esibizione di un match di pallavolo a un incontro-dibattito sulla diffusione della disabilità, fino alla prevista traversata a nuoto sul Lago Kivu, dall’Isola di Idjwi a Goma e alla giornata di chiusura, ospitata da Vany Bishweka nel suo Albergo Ihusi.
Ogni giorno, ogni momento che ho vissuto in questo lembo di terra tanto meraviglioso quanto perseguitato dalla sfortuna, dalle guerre, dalle carestie, dalla povertà, dalle malattie e dall’emarginazione, è stato caratterizzato dal calore e dall’affetto che l’intera popolazione ha voluto riservarmi. Quando mi sono reso conto che la mia presenza infondeva speranza, ho cancellato di colpo le paure che mi perseguitavano, su tutte quella del gas metano che qualche volta ha anche ucciso, com’era accaduto lo scorso anno a un missionario mentre nuotava.
Durante la mia permanenza a Goma, sono stato ospite della missione dei Padri Caracciolini, dove tutti, a cominciare da Padre Norberto e Padre Paolo, fino ai seminaristi, mi hanno circondato d’amore e sostenuto quotidianamente, fino al giorno fatidico della tanto difficile quanto pericolosa traversata a nuoto del Lago Kivu.
Di quel periodo ricordo ad esempio, con amore fraterno, un ragazzo seminarista, di nome Archimede, il quale tutte le mattine e tutti i pomeriggi mi ha assistito durante la mia preparazione e la sera di domenica 22 aprile, quando sono rientrato dal successo della prova, mi è venuto incontro come un figlio e quasi piangendo ha esclamato: «Felicitazione, Salvator!».
Un altro momento che ricordo con affetto è stato quando sono arrivato sull’Isola di Idjwi: sulla banchina, infatti, c’era ad attendermi l’intero villaggio, con tanto di banda musicale, e addirittura un corpo di ballo tradizionale, che emozione! Insieme a loro era presente l’intera comunità delle persone con disabilità che vivono sull’isola e il loro presidente, Joseph Mwendambiyo, che ha voluto ringraziarmi per aver scelto di iniziare la costruzione del mio “Ponte” dal suo villaggio.
Dalla folla è emerso quindi Padre Janvier, promotore del Comitato d’Accoglienza dell’Isola di Idjwi, che con la sua voce baritonale ha dato vita alla festa e subito dopo sono stato coperto di omaggi floreali.
La mattina seguente – giorno previsto per la prova – ci siamo svegliati sotto un forte temporale che ci ha impedito di rispettare il calendario prestabilito. Con enormi difficoltà ci siamo imbarcati sotto la pioggia battente per raggiungere Kihumba, il luogo della partenza, costretti a coprirci con un grosso telo per proteggerci dall’acqua che cadeva dal cielo.
Erano quasi le 6 del mattino, quando siamo arrivati, il tempo di prepararmi, le solite raccomandazioni e alle 6 e 18 minuti in punto la partenza.
I primi chilometri li ho nuotati sotto la pioggia, ma in un lago calmo come una tavola. Quando siamo usciti dalla baia, però, lo specchio d’acqua era così agitato che la barca d’appoggio faceva molta fatica a mantenere la rotta, e quanto ho bevuto! Poi, come per miracolo, il lago si è calmato progressivamente, fino a diventare un letto.
Oltre alla barca d’appoggio, mi accompagnavano tante piroghe e motoscafi e addirittura una nave con 1.500 persone a bordo, che hanno fatto un tifo straordinario, sostenendomi fino all’ultima bracciata.
Sono arrivato a Goma senza difficoltà alle 17 in punto, atteso da una miriade di persone: da quando giro il mondo non avevo mai visto tante persone insieme in un solo posto e mai avevo sentito tanto amore nei confronti di un Paese diverso dal mio, la Repubblica Democratica del Congo.
La realtà delle persone con disabilità nel Congo è molto precaria: non sono supportate da leggi in materia, sono continuamente discriminate ed emarginate, la mobilità è del tutto inesistente: molti sono costretti letteralmente a strisciare, perché non possiedono nemmeno una rudimentale stampella. E le ragazze sono continuamente vittime di abusi e umiliazioni, spesso solo perché disabili.
Di fronte a questa cruda realtà voglio conservare il mio ottimismo: mi batterò con tutti i miei mezzi – anche se piccolissimi rispetto all’enormità del problema – perché i miei fratelli congolesi con disabilità riescano ad affermare i loro diritti.
Mi batterò perché la città di Goma e l’Isola di Idjwi siano dotate di un centro di riabilitazione, dove i bambini, gli adolescenti, gli uomini e le donne siano in grado di riconquistare la propria dignità!
Voglio infine ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla riuscita di questo memorabile e storico evento, a partire dalla Diocesi e dalla sua colonna portante, il vescovo Théophile Kaboy Ruboneka. Poi il governatore Julien Paluku Kahongya, il vicario generale padre Luiz Nzabaneta, padre René Stockman, padre Jean Mbeshi, padre Raffaele Mandolesi, padre Paolo Di Nardo, padre Norberto, monsieur Vany Bishweka, monsieur Bandu, Jean Bosco e la Marina Militare Congolese e i giornalisti Roberto e Magloire Paluku e Mishapi che, grazie a una comunicazione precisa e attenta, sono riusciti a suscitare tanto interesse presso una popolazione affranta dalla guerra e dalla povertà.
E grazie al Circolo Canottieri Aniene, alla Selex Galileo, all’INAIL, alla Roadrunnerfoot e all’Acqua Sphere.
Grazie a tutti Voi, senza il vostro sostegno non avrei mai potuto raggiungere Goma.
*Salvatore Cimmino (Torre Annunziata, Napoli, 1964), nuotatore della Canottieri Aniene amputato della gamba destra, è impegnato nel suo giro del mondo a nuoto, denominato A nuoto nei mari del globo, per dare visibilità al suo progetto Un mondo senza barriere e senza frontiere.
Ne segnaliamo nel nostro sito in particolare i testi (redazionali o da lui stesso firmati): Girerò l’Europa a nuoto per un mondo senza barriere (cliccare qui); Quella maratona acquatica, metafora della vita di ogni disabile (cliccare qui); Ho nuotato nell’acqua gelida in nome della mobilità e della vita indipendente (cliccare qui); Ho nuotato per Gianca (cliccare qui); La Nuova Zelanda sta aspettando Salvatore Cimmino (cliccare qui); Io «rilancio» con le mie sfide, gli Stati rilancino con la spesa sociale (cliccare qui); La favola di Salvatore e di un «ponte costruito» in Nuova Zelanda (cliccare qui); Quella africana sarà la «tappa del fare» (cliccare qui); I «ponti» di Salvatore sono fatti di ricerca e di solidarietà (cliccare qui).
Il suo sito è raggiungibile cliccando qui. Il suo giro del mondo a nuoto è patrocinato dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico).