Preoccupazione e commenti negativi – ripresi anche dal nostro sito (come si può vedere dall’elenco di articoli che pubblichiamo in calce) – avevano accompagnato alcune recenti Sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Brescia. Queste ultime, infatti, avevano sostanzialmente smentito quelle norme che non consentono agli Enti Pubblici di richiedere contributi economici ai parenti delle persone con disabilità grave.
L’intervento del Consiglio di Stato di qualche giorno fa sembra però avere risolto ogni problema, come spiega per noi Francesco Trebeschi, avvocato esperto in diritto e disabilità, consulente dell’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
Con la Sentenza n. 5185 del 16 settembre scorso, il Consiglio di Stato ha confermato in maniera chiara e completa quanto segue, ovvero che «deve ritenersi […], che l’art. 3 co. 2 ter d.lgs 109/1998, pur demandando in parte la sua attuazione al successivo decreto, abbia introdotto un principio, immediatamente applicabile, costituito dalla evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali».
Si tratta di una decisione particolarmente importante sia perché cerca di porsi come definitivo punto di arrivo e di sintesi per l’elaborazione giurisprudenziale sulla questione, sia perché ribadisce che la disposizione prevale sull’eventuale legislazione regionale difforme, sia perché pone forti dubbi anche rispetto alla costituzionalità di futuri interventi del legislatore nazionale volti a cancellare il principio.
La presa di posizione rispetto alle precedenti decisioni è in effetti piuttosto netta; si afferma infatti che «la tesi che esclude l’immediata applicabilità della norma, in virtù dell’attuazione demandata a un apposito d.p.c.m. [Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, N.d.R.], benché sostenuta da questo Consiglio di Stato in sede consultiva (sez. III, n. 569/2009), non appare convincente ed è già stata disattesa dalla Sezione in alcuni precedenti cautelari (sez. V, ord. nn. 3065/09, 4582/09 e 2130/10), che hanno trovato conferma nelle più recenti sentenze (sez. V, sent. n. 551/2011; n. 1607/2011) della Sezione stessa, che il Collegio pienamente condivide».
Quanto poi alla prevalenza della disciplina nazionale su quella regionale, la Sentenza puntualizza che «tale regola non incontra alcun ostacolo per la sua immediata applicabilità e il citato decreto, pur potendo introdurre innovative misure per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, non potrebbe stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione del solo assistito; di conseguenza, anche in attesa dell’adozione del decreto, sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi a tale principio [grassetto nostro in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.], idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, mirando proprio ad una facilitazione all’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza».
Infine, grandissima importanza ha il fatto che il Consiglio di Stato abbia ravvisato che l’interpretazione della norma sia fondata, «oltre che sul dato letterale della legge, sul quadro costituzionale e sulle norme di derivazione internazionale, facendo particolare riferimento alla legge 3 marzo 2009 n. 18 che ha ratificato la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità» e, con essa, ai princìpi della «dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile», di cui «all’art. 3, che impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici». Ciò, infatti, fa emergere forti dubbi circa la costituzionalità di una legge, anche nazionale (e il pensiero non può che già correre ai timori legati all’approvazione della Legge Delega per la riforma assistenziale [Disegno di Legge Camera n. 4566, N.d.R.]) che mettendo mano ai criteri dell’ISEE [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.] non rispetti il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito e quindi, con esso, calpesti i princìpi di dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona con disabilità.
*Avvocato. Esperto in diritto e disabilità. Consulente dell’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
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