Periodicamente ricompaiono sugli organi d’informazione lettere che affrontano il problema dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) nella scuola italiana, con toni quasi “da crociata”. Tali lettere sono spesso condizionate da posizioni pregiudiziali (ad esempio: non tocchiamo i bambini sottoponendoli a esami “psichiatrici”, che producono etichette pericolose), posizioni basate purtroppo ancora sull’ignoranza e sul pregiudizio e talvolta anche sulla malafede. Sostanzialmente si tende a negare la realtà della dislessia, riesumando la categoria degli “asini della classe” oppure riferendo la causa a eventuali “cattivi insegnanti”. Questi “negazionisti” non si rendono conto di difendere una visione del mondo ampiamente superata dai progressi scientifici e di voler perpetuare una situazione di grave discriminazione e di sofferenza nei confronti delle persone che soffrono di dislessia.
La dislessia e gli altri disturbi specifici dell’apprendimento non sono una moda né un’invenzione degli psichiatri per invadere le scuole e non sono nemmeno la conseguenza di un cattivo insegnamento. Siamo ben consapevoli che esistono bambini e ragazzi che “vanno male a scuola” a causa di un inadeguato insegnamento o di un loro sbagliato modo di affrontare le richieste scolastiche, ma ci sembra importantissimo tenere ben distinte queste situazioni – che nulla hanno a che fare con l’area sanitaria – dai disturbi specifici dell’apprendimento.
La dislessia e gli altri DSA sono una realtà con una base biologica ben precisa (le ricerche scientifiche al riguardo hanno prodotto risultati ormai ben consolidati); non si tratta di malattie nel senso comune del termine, ma di disfunzioni su base costituzionale o genetica che interessano alcune aree cerebrali e che producono una difficoltà ad acquisire e automatizzare l’utilizzo del codice scritto. Si tratta di un disturbo elencato tra i sistemi internazionali di classificazione prodotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ne definisce con chiarezza i criteri diagnostici.
La diagnosi non è arbitraria: da tempo, infatti, esistono strumenti rigorosi e affidabili che permettono di stabilire con precisione se un ragazzo ha un problema scolastico riferibile a un disturbo specifico dell’apprendimento. Anche se è a scuola che i DSA si manifestano, la base biologica esclude che sia un problema solamente educativo o pedagogico: la diagnosi, la presa in carico e la riabilitazione sono atti sanitari e richiedono la competenza di diversi specialisti, mentre la scuola rimane la protagonista della gestione didattica del problema.
Pur con la consapevolezza, quindi, che non si tratta di qualcosa che può scomparire completamente, la sanità e la scuola condividono la grandissima responsabilità della gestione del problema per favorire l’apprendimento e l’abilitazione, nonostante la presenza di questo disturbo. Se si comprende profondamente la natura del problema, è evidente quali debbano essere le soluzioni: identificazione precoce dei bambini a rischio mediante le attività di screening, rinforzo delle competenze a rischio mediante attività in classe, un iter diagnostico specialistico per le situazioni che non recuperano spontaneamente. Tali interventi (dato dimostrato da tutte le ricerche degli ultimi quindici anni) possono cambiare radicalmente la storia naturale di questi ragazzi. La diagnosi, infatti, permette di comprendere meglio il problema, può evitare le gravi sofferenze psicologiche e la colpevolizzazione della persona e fornisce un contesto interpretativo e di intervento finalmente adeguato. Sempre la diagnosi – lungi dall’essere fonte di etichette pericolose – è un grande momento di liberazione, anche se la sua accettazione può essere condizionata dal contesto, e qui davvero è necessario cambiare la cultura su dislessia e DSA che non devono essere considerate un handicap, anche se sono una disabilità.
Soprattutto, la diagnosi permette di affrontare positivamente il problema dell’apprendere nonostante il disturbo: in questo la scuola dev’essere protagonista. Lungi dall’avere un atteggiamento di rinuncia o di delega, è necessario per gli insegnanti sviluppare strategie didattiche e di aiuto che permettano di dare a questi ragazzi la possibilità di imparare e di formarsi, con tutti i mezzi possibili, compresi ovviamente gli strumenti multimediali che le nuove tecnologie ci forniscono e che possono facilitare e supplire alcune attività troppo faticose per i dislessici (ad esempio ricordare a memoria le tabelline o l’alfabeto, leggere e poi trascrivere il testo del problema), che occupano tutte le loro energie in compiti di basso livello, impedendo loro di applicarsi in attività più rilevanti (ad esempio come risolvere il problema) e quindi di apprendere.
Siamo ancora agli ultimi posti fra i Paesi del mondo per quanto riguarda le conoscenze sui disturbi specifici dell’apprendimento e quindi non abbiamo tuttora quasi nessuna norma che tuteli i diritti dei ragazzi con DSA, producendo ancora storie di sofferenza indicibile nel percorso scolastico di ragazzi che hanno una normale intelligenza e che possono apprendere, ma in maniera diversa.
Chi paventa le conseguenze negative di un’eventuale regolamentazione per legge della tutela dei ragazzi con DSA, non tiene conto del fatto che il problema più grave nella nostra realtà quotidiana è ancora la mancanza di riconoscimento dei DSA e di conseguenza l’assenza di provvedimenti e di aiuti specifici nel contesto scolastico, con gravi ripercussioni psicologiche e sul successo scolastico. Nella realtà drammatica che vivono sulla propria pelle ogni giorno i ragazzi con DSA, opporsi al traguardo di avere una legge che assicuri il diritto all’identificazione precoce, alla diagnosi, ad adeguati provvedimenti educativi, in nome di una difesa autoreferenziale della scuola contro “l’invadenza” di psicologi e psichiatri, suona davvero come un tragico equivoco che le famiglie dei ragazzi con DSA non possono tollerare. Siamo confortati solamente dal fatto che queste opinioni appaiono limitate a poche persone che sostanzialmente non conoscono il problema o non hanno vissuto il dramma della dislessia, mentre le richieste dei dislessici trovano sempre maggior ascolto sociale, come testimoniato dalla petizione on line in favore della legge sulla dislessia, che ha raggiunto quasi 14.000 firme.
La battaglia per cambiare la cultura e i pregiudizi sociali è sempre lunga e difficile, ma è una questione di civiltà che non si può più eludere.
*Associazione Italiana Dislessia. Testo firmato dal Consiglio Direttivo Nazionale dell’Associazione. Per riscontri e informazioni: info@dislessia.it.
Si parla di dislessia in caso di difficoltà significativa nell’apprendimento della lettura in presenza di un livello cognitivo e di un’istruzione adeguati e in assenza di problemi neurologici e sensoriali. I bambini con dislessia sono intelligenti, non hanno problemi visivi o uditivi, ma non apprendono a leggere in modo sufficientemente corretto e fluido: infatti le loro prestazioni nella lettura risultano nel complesso molto al di sotto del livello che ci si aspetterebbe in base all’età, alla classe frequentata e al livello intellettivo generale. Queste difficoltà solitamente condizionano anche in modo pesante le prestazioni scolastiche.
Spesso alla dislessia sono associate ulteriori difficoltà, quali la disortografia, la disgrafia e, a volte, lievi difficoltà nel linguaggio orale (fatica a recuperare termini appropriati o a memorizzare parole nuove) e nel calcolo (soprattutto mentale, oppure nella memorizzazione delle tabelline).
Il problema della dislessia risulta evidente in seconda-terza elementare (alcuni segni si possono per altro già osservare nella scuola materna, come la presenza di significative difficoltà nel manipolare i suoni nelle rime, nelle filastrocche…).
Non sempre gli approfondimenti diagnostici vengono svolti tempestivamente (ancora tanti bambini accedono infatti ai servizi alla fine della scuola elementare o alla scuola media), a causa di una sbagliata interpretazione o sottovalutazione del problema. Si parla ad esempio ancora di pigrizia, demotivazione o disagio psicologico, problemi che senz’altro a volte possono essere associati al disturbo, ma che rappresentano dei correlati o delle conseguenze della dislessia, non la causa. Per ridurre l’interferenza di tali disturbi, è possibile ricorrere all’ausilio di strumenti compensativi e dispensativi, appositamente previsti dalla normativa italiana, ma attualmente poco usati.
Ad occuparsi di questo, nel nostro Paese, vi sono organizzazioni come l’AID (Associazione Italiana Dislessia) o forum come Dislessia On Line. Si legga anche, nel nostro sito, la specifica scheda raggiungibile cliccando qui.
– Quando le lettere diventano dispettose, disponibile cliccando qui.
– Dislessia, autonomia e informatica, disponibile cliccando qui.
– Disgrafia: quei disagi di confine, disponibile cliccando qui.
– E la scuola che voleva don Milani?, disponibile cliccando qui.
– La dislessia infantile, disponibile cliccando qui.
– Gli audiolibri e la dislessia, disponibile cliccando qui.
– La dislessia, disponibile cliccando qui.
– Dislessia: il libro parlato funziona, disponibile cliccando qui.
– Una petizione a tutela dei ragazzi dislessici, disponibile cliccando qui.
– Dislessia in Friuli Venezia Giulia: a che punto siamo?, disponibile cliccando qui.
– Lo Sportello Dislessia Ferrara, disponibile cliccando qui.
– Vorremmo solo poter studiare come gli altri…, disponibile cliccando qui.
– La bocciatura di quel ragazzo con problemi di dislessia, disponibile cliccando qui.
– Si va finalmente verso l’approvazione della legge sulla dislessia?, disponibile cliccando qui.
– L’emozione di rivederlo con un libro in mano, disponibile cliccando qui.