Una pessima copertina, quella di «Panorama» del 24 marzo scorso sui falsi invalidi, veramente pessima. E di mediocre livello è anche lo “speciale esclusivo” che si legge all’interno, e che di esclusivo ha poco o nulla, riportando dati e vicende ormai note e facendo un unico “minestrone” tra falsi invalidi, falsi lavoratori stagionali agricoli, false assunzioni per avere le indennità di disoccupazione.
Nell’articolo, poi, si leggono anche alcuni strafalcioni, come il fatto che l’INPS sarebbe coinvolta negli «…sconti per le auto», materia su cui l’Istituto non ha la benché minima competenza. Ma la perla si ha quando si dice testualmente: «Non è una coincidenza infatti che i problemi al sistema nervoso e psichici siano in vetta ai motivi di richiesta di prestazioni, così come le stesse patologie risultino nella maggior parte delle richieste non accolte. Le presunte epidemie di pazzi non sono rare», in cui l’autore [Stefano Vespa, N.d.R.] dimostra una totale ignoranza della benché minima conoscenza in campo sanitario, equivocando sui termini psichico (ad esempio un ritardo mentale) e sistema nervoso (ad esempio una sclerosi multipla), confondendoli con i problemi legati all’area della salute mentale.
Ed è così che in neretto «Panorama» esemplifica la cosa: «Le richieste: siamo pazzi. Le revoche: siete sani», riproponendo così l’ennesimo stereotipo relativo al fatto che chi vuole truffare la Commissione “si finge pazzo”.
Un fenomeno che esiste, quello dei cosiddetti “falsi invalidi”, ma, come ha dichiarato più volte lo stesso presidente dell’INPS (salvo scordarsene altre), i casi eclatanti di false invalidità, come il cieco che guida – che ovviamente finisce in tutte le TV – o la famiglia di venti malavitosi tutti invalidi, sono un’infinitesima percentuale sulle circa 2,8 milioni di pensioni di invalidità (si legga qui). Dato, questo, che inevitabilmente cresce da una parte con l’aumento della vita media e delle situazioni di non autosufficienza e dall’altra con i progressi della medicina che fanno rimanere in vita neonati con gravissime patologie e/o anche dopo incidenti e malattie gravissime e fortemente invalidanti.
Ricordiamo che circa il 60% delle prestazioni economiche relative all’invalidità – ovvero di persone certificate da una Commissione Medico-Legale di una ASL – sono relative a persone anziane e di queste circa il 40% sono per ultraottantenni, come si può leggere nel Report dell’INPS sui trattamenti pensionistici al 31 dicembre 2008.
Basta leggere poi il Rapporto 2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla non autosufficienza in Italia, per vedere come la disabilità aumenti vertiginosamente come incidenza col passare dell’età (è il 9,7% nella fascia tra i 70 e i 74 anni; passa al 17,8% tra i 75 e i 79; raggiunge il 44,5% oltre gli 80 anni).
La gran parte delle pensioni che vengono revocate lo sono per abbassamenti della percentuale. Ad esempio se si passa dal 100 al 99, si perde la possibilità dell’indennità di accompagnamento; se si passa dal 75 al 74 si perde l’assegno di assistenza (sempre che la situazione reddituale lo consenta, essendoci anche dei limiti di reddito).
L’INPS accusa le ASL di essere state “di manica larga”, ma non esiste attualmente alcuno studio che possa avvalorare questo, essendo le valutazioni legate ad elementi oggettivi (tabelle di legge che assegnano una percentuale ad ogni patologia) e soggettivi della Commissione, in quella visita, con quella persona, in quel periodo della malattia/patologia di quella stessa persona.
Ricordiamo che all’INPS da quattro anni (dal 2007, per l’esattezza) è affidato il controllo su tutti i verbali emessi dalle ASL, controllo che prima era svolto dal Ministero del Tesoro, e il numero delle pensioni/indennità è aumentato ugualmente.
Recentemente sia l’Associazione dei Medici dell’INPS, sia la sede regionale della Sardegna dell’Istituto, sia l’Ordine dei Medici di Roma (se ne legga cliccando qui, qui e qui) hanno duramente contestato la Direzione Nazionale dell’INPS circa le modalità di presentare i dati e circa le nuove procedure riferite all’accertamento dell’invalidità che creano ritardi e chiamano a visita persone con patologie gravi e stabilizzate che nessuna possibilità di miglioramento possono avere.
A dire il vero anche le ASL sembrano avere una parte di responsabilità nel mancato decollo delle nuove procedure, trattando le pratiche ancora in cartaceo e non con procedure informatizzate.
Ricordiamo poi che in sede di giudizio (disabili che fanno ricorso contro la revoca della pensione) attualmente le medie dei giudizi parrebbero dare ragione per il 60% ai disabili e per il 40% all’INPS… Quindi, terminati tutti gli iter, ammettendo che tutti gli 800.000 controlli previsti dal 2009 al 2012 vengano fatti, che rimanga stabile il tasso di revoche dichiarato dall’INPS e che le persone a cui è stato revocato il beneficio facciano ricorso, i titoli dei giornali dovrebbero essere rivisti, essendo ben lontani da quel 23% che viene propagandato. Una percentuale, tra l’altro, assai “ballerina”, che varia sempre da dichiarazione a dichiarazione o da testata a testata, se vogliamo.
La sciocchezza che si legge più comunemente sui giornali è quella riguardante il fatto di moltiplicare la percentuale e di estenderla a tutto l’universo delle pensioni di invalidità («…1 invalido su 4 è falso!»), ignorando che l’INPS è andata a campionare soprattutto in quelle Regioni e Province dove è più alta la percentuale di invalidità presenti e dove riteneva potessero essere presenti più irregolarità (se ne legga nel sito HandyLex.org, cliccando qui).
Ad occhio, quindi, dopo i ricorsi il 23% diventerebbe il 9% che, ricordiamo, è il 9% sui controlli previsti dal 2008 al 2012 (800.000 controlli su prestazioni erogate prima del 2007) ovvero su circa il 28% del totale delle prestazioni erogate. Quindi, sul totale attuale delle pensioni di invalidità (2,8 milioni), si scenderebbe a circa il 2,5% di revoche (circa 72.000 prestazioni).
Una copertina come quella di «Panorama» finisce dunque per gettare uno stigma su tutti i disabili e purtroppo fa riprendere fiato alle culture che vorrebbero cancellare i progressi che nell’ambito della disabilità si sono fatti da quarant’anni ad oggi. Lo dico prima di tutto come giornalista iscritto all’Ordine, poi come operatore dei servizi sociali nell’ambito della disabilità.
Detto questo, se veramente tra eclatanti falsi invalidi (una percentuale infinitesima sul totale) e tra invalidi le cui situazioni sanitarie sono migliorate o sono state effettivamente giudicate con troppa benevolenza, le cifre fossero confermate, il risparmio sarebbe comunque significativo. Se fossero tutte indennità di accompagnamento, si potrebbe ad esempio reintegrare l’intero Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze cancellato dal Governo (zero lire virgola zero) per il 2011 (se ne legga cliccando qui).
Questo non giustifica comunque la campagna mediatica in corso da tanti mesi – l’ennesima, una più o meno ad ogni Legislatura, come permette di constatare un osservatorio sulla stampa e la disabilità attivo dal 1981 – e le assurdità che si leggono sui giornali: «…il disabile guidava la macchina quindi pare fosse un falso invalido»… E le 400.000 patenti speciali che ci sono in Italia cosa ci stanno a fare? E ancora: «…facile che non si tratti di invalidi se riescono a svolgere un lavoro o se, ogni mese, raggiungono la banca per riscuotere l’assegno»… no comment![questa citazione è tratta dal quotidiano «il Giornale», N.d.R.]. Queste ultime sembrano infatti finalizzate a creare un clima che consenta, senza troppe proteste, tagli sia alle spese per l’invalidità che ai servizi per i disabili, che vedranno ridursi le possibilità di integrazione sociale, di una vita piena e ritorneranno sulle spalle delle loro famiglie. E chi una famiglia non ce l’ha? E se la famiglia non ce la fa? Riapriranno gli Istituti?
Qualcuno ha dichiarato nei mesi scorsi, sull’onda della crisi, che «l’Italia non si può permettere 2,8 milioni di invalidi». Rettificherà queste cifre alla fine della giostra? E parlerà anche di un paio di giornalisti poco informati?
Vedremo. Intanto i fronti aperti al momento sono molteplici e nessuno può essere affrontato se non mettendo sul tappeto anche gli inevitabili limiti delle leggi e delle esperienze fatte o degli abusi che ci possono essere stati: pensioni e assegni di invalidità civile, permessi dal lavoro legati alla Legge 104/92, collocamento al lavoro. E la recente Sentenza della Cassazione sui limiti di reddito allargati al conigue complica ancor più il quadro [se ne legga nel nostro sito cliccando qui e qui, N.d.R.].
La battaglia, come si vede, è anche mediatica: qualcuno ci marcia, qualcuno è ignorante (participio del verbo ignorare), qualcuno sperimenta perfino strategie mediatiche, come è successo recentemente con un sito (tali Imprenditori meritocratici), nato per opporsi al lavoro delle persone disabili.
Anche il mondo della disabilità dovrà scegliere le sue priorità informative e ragionare se possa essere la cultura del diversamente abile quella con cui affrontare questa battaglia.
*Responsabile del CRH (Centro Risorse Handicap) del Comune di Bologna.