Quel che resterà dell’assistenza

di Giorgio Genta*
Chiudere gli occhi non è un buon sistema per guidare su strade accidentate e quindi - secondo Giorgio Genta - è bene provare a ragionare su quali potranno essere i criteri di distribuzione delle "briciole" che resteranno, in tema di assistenza alle persone con disabilità e alle loro famiglie, dopo le "cento manovre" e i "mille tagli". E in tal senso prima di tutto bisognerebbe tenere conto della complessità assistenziale più o meno necessaria

Uomo a testa bassa che sembra meditareDue sono le domande che caricano di ansietà i giorni e le notti delle persone con disabilità e delle loro famiglie: dopo le “cento manovre” e i “mille tagli”, quanto resterà per l’assistenza loro dedicata e con quali criteri verrà erogato?
Una  risposta ponderata alla prima domanda è probabilmente nelle parole di Lorena Rambaudi, assessore al Sociale della Regione Liguria e coordinatrice in tale settore della Conferenza Stato-Regioni: «Con la manovra si prospetta una riduzione del 50% dei servizi». Secondo la FISH (Federazione per il Superamento dell’Handicap), poi, è prevedibile che un disabile su tre perderà l’assistenza [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].

Traumatizzati dalla durezza della realtà – che potrebbe anche essere peggiore di quanto supposto – e annichiliti dalla mancanza di proposte alternative valide e realistiche a quel (poco o tanto, più poco che tanto) che è esistito sino ad oggi, vediamo di ragionare almeno sui criteri di distribuzione delle “briciole” che resteranno.
Speriamo almeno che ci sia evitato l’insulto del “taglio lineare”: il 50%, poniamo, di meno a tutti. Sia a chi necessita di un modesto aiuto per condurre un’esistenza dignitosa, sia a chi non può sopravvivere senza un’assistenza continua 24 ore su 24. Rispunterà quindi il problema della compartecipazione alla spesa o meglio quel poco che resterà dell’assistenza verrà concesso probabilmente tenendo conto del reddito.
Se fossimo in un Paese scandinavo, in Nuova Zelanda o nel Canada, probabilmente ciò sarebbe una giusta cosa. Ma dato che siamo in Italia e parlare di reddito in tali settori significa parlare di ISEE (l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente), questa è la cosa più ingiusta del mondo perché:
a) l’ISEE penalizza enormemente i soliti “poveri cristi”, lavoratori dipendenti e pensionati, cioè le persone dal reddito (modesto e) ineludibile;
b) gli “abbuoni” per le persone con disabilità in famiglia sono risibili rispetto ai costi reali;
c) la compartecipazione alle spese sociosanitarie per le persone con disabilità grave, secondo la normativa attuale, dovrebbe tener conto solo del reddito della persona fisica e non di quello del gruppo familiare.

Secondo il nostro parere (chiudere gli occhi non è un buon sistema per guidare su strade accidentate), bisognerebbe tener conto innanzitutto della complessità assistenziale. Cioè dei gravissimi. Cioè della loro “ufficializzazione”.
In altre parole, dare quello che serve a chi ne ha una necessità assoluta e distribuire poi quanto resta a chi ha “bisogni relativi”, anche se importantissimi.
In tutto questo dolore speriamo solo ci siano risparmiate le proposte del geniale pensatore politico di turno: il privato sociale, la chiesa, il volontariato. Dimenticavo: le assicurazioni!

*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

Sui temi di cui si parla nel presente testo, suggeriamo anche la lettura – sempre nel nostro sito – di: Fermiamoli con una firma! (cliccare qui); Stop al massacro delle persone con disabilità! (cliccare qui); La solitudine dei numeri ultimi (di Franco Bomprezzi, cliccare qui); L’alternativa del diavolo (parte seconda) (di Giorgio Genta e Dario Petri, cliccare qui); L’autunno caldo delle persone con disabilità (cliccare qui); Se non lo Stato, chi? (di Giorgio Genta, cliccare qui); La FISH formalizza lo stato di mobilitazione (cliccare qui); Si dovrà ricorrere alla Magistratura? (di Vincenzo Gallo, cliccare qui).
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