Non è la prima volta che ci scrive Laura, madre di un bimbo con dislessia e nostra lettrice. Ne ricordiamo ad esempio la bella testimonianza intitolata L’emozione di rivederlo con un libro in mano (disponibile cliccando qui), ove raccontava la sua personale e diretta esperienza, per far capire l’importanza di riconoscere quanto prima e sapere affrontare senza pregiudizi il problema della dislessia, battendosi anche – su un altro fronte – perché possa quanto prima andare in porto l’iter di una legge nazionale a tutela dei bambini e ragazzi dislessici.
Questa volta il suo intervento – cui ben volentieri diamo spazio qui di seguito – è motivato da una riflessione pubblicata dall’«Ideale – Informazione oltre le consuetudini», e ripresa da altre testate, a firma di Margherita Pellegrino, «insegnante con più di vent’anni di esperienza», «scandalizzata, oltre che preoccupata, da quanto ho letto nelle recenti leggi sulla Dislessia approvate dalle Regioni Lombardia, Veneto, Liguria e Basilicata», che a suo parere sono «il risultato di una campagna mediatica e della pressione esercitata dalla claque di supporto, che seguendo un copione di successo negli USA è stata appositamente creata per fare da cassa di risonanza, per influenzare politici ed opinione pubblica, sull’esistenza di questi fantomatici disturbi dell’apprendimento, e della necessità di “aiutare” i bambini che sarebbero affetti da tali disturbi».
Per consentire dunque ai lettori di inquadrare la questione nel migliore dei modi, diamo spazio in calce anche all’intervento integrale di Margherita Pellegrino, per gentile concessione dell’«Ideale». Riguardo infine a Laura, ne rispettiamo la volontà di ometterne il cognome, per motivi di tutela della privacy del figlio, ma come nelle precedenti occasioni, chi voglia contattarla può direttamente scriverle all’indirizzo laura@quidonline.it.
Sono la mamma di un bambino dislessico e mi trovo nuovamente di fronte a insegnanti che intervengono non solo nelle scuole, ma anche nei media, ad “inveire furiosamente” contro il riconoscimento della dislessia e degli altri disturbi specifici di apprendimento (disgrafia, disortografia e discalculia), in nome di un egualitarismo tanto massificante quanto anacronistico. Ma a cosa serve tutta la loro decantata esperienza di insegnamento se non hanno ancora capito che è la scuola che deve riconoscere le specificità individuali, adattarsi ai bisogni formativi degli allievi (e non viceversa) e dare gli strumenti di apprendimento di cui ciascun bambino ha bisogno?
Equità non significa dare a tutti la stessa cosa, ma a ciascuno ciò di cui ha bisogno. Personalmente non ho alcun problema a dire che mio figlio è dislessico e non lo reputo né diverso, né malato, né disabile. Piuttosto “un po’ speciale”: è un bambino intelligente e arguto che può seguire il percorso scolastico e apprendere come i suoi compagni – in alcuni casi anche meglio – come sta per altro dimostrando con ottime pagelle. Ma lo può fare attraverso modalità diverse perché i processi che consentono di rendere la lettura, la scrittura e il calcolo degli atti automatici (come quando dopo un po’ di pratica si guida senza pensare alle procedure che si mettono in atto) non sono per lui possibili. Leggere e scrivere gli risultano attività molto faticose che assorbono tutte le sue energie, senza lasciare alcuno spazio alla comprensione e all’apprendimento. Per poter apprendere deve quindi utilizzare, quando necessario, degli strumenti, come il computer o la calcolatrice, che gli consentono di bypassare i suoi problemi “strumentali”, lasciandogli sufficienti energie per concentrarsi sui contenuti.
A qualcuno verrebbe mai in mente di togliere gli occhiali a un miope per farlo leggere alla lavagna “come tutti gli altri” e di dirgli che non ci riesce perché non si impegna? Mi risulta che l’obiettivo della scuola sia l’apprendimento e non il mero esercizio strumentale e, più in generale, che sia il fine a giustificare i mezzi; è tanto difficile da capire per queste insegnanti di così “grande esperienza”? L’utilizzo del computer, a scuola e a casa, ha reso autonomo mio figlio, gli ha consentito di sentirsi alla pari con i compagni e gli ha ridato l’autostima e la fiducia in se stesso. Non gli è servito un insegnante di sostegno, ma solo un team scolastico con un minimo di sensibilità e rispetto per la sua individualità e con la capacità di applicare una didattica flessibile alle sue particolari esigenze di apprendimento. E, certo, una famiglia che con grande determinazione lo ha aiutato e sostenuto.
Ci ha messo quattro lunghi anni (quasi metà della sua vita) ad uscire dal trauma della sua disastrosa prima elementare, annientato dalla rigidità di certi insegnanti. Oggi sarebbe certamente nel baratro della depressione, a contare le ore per poter abbandonare la scuola, come purtroppo succede molto spesso a questi ragazzi, se incompresi e non supportati adeguatamente dalla scuola e dalla famiglia. Per ogni ragazzo dislessico che viene “salvato”, infatti, ce ne sono tanti, tantissimi che invece soccombono, non dimentichiamolo. Lui ha trovato invece persone che hanno via via compreso le sue difficoltà, hanno apprezzato le sue risorse, gli hanno dato fiducia, rispettando le sue particolarità e senza imporgli un rigido e standardizzato metodo didattico.
Se un bambino non riesce ad esprimersi con la penna, ma scrive bene con il computer, se riesce a leggere solo “distruggendosi dalla fatica” e utilizza la sintesi vocale per farlo più agevolmente, se scrive in stampato perché in corsivo non riuscirebbe neanche a capire se stesso, se ha bisogno della fotocopia ingrandita per poter completare un test e se con tutto ciò comprende, apprende, ha un buon rendimento e riesce a seguire il normale percorso scolastico, allora dov’è il problema? Nella grettezza di chi non sa considerare la diversità una risorsa, nei pregiudizi di chi è chiuso nel proprio limitato orizzonte.
(da «L’Ideale – Informazione oltre le consuetudini»)
Sono un’insegnante con più di vent’anni di esperienza e sono rimasta scandalizzata, oltre che preoccupata, da quanto ho letto nelle recenti leggi sulla Dislessia approvate dalle Regioni Lombardia, Veneto, Liguria e Basilicata.
Queste leggi, sono il risultato di una campagna mediatica e della pressione esercitata dalla claque di supporto, che seguendo un copione di successo negli USA è stata appositamente creata per fare da cassa di risonanza, per influenzare politici ed opinione pubblica, sull’esistenza di questi fantomatici disturbi dell’apprendimento, e della necessità di “aiutare” i bambini che sarebbero affetti da tali disturbi.
Queste leggi, non sono una reale esigenza dei nostri studenti, delle famiglie e degli insegnanti, al contrario sono estremamente dannose e pericolose. Con esse viene stabilito per legge, ciò che non è provato a livello scientifico e cioè che gli errori di scrittura, di ortografia, di lettura e di calcolo, sono una malattia, come cita una di queste leggi: «la dislessia è anche una malattia che molto spesso non viene riconosciuta o viene diagnosticata con grandissimo ritardo…» (legge N.422 Regione Veneto) [il riferimento è presumibilmente al Progetto di Legge n. 422 della Regione Veneto. La Legge di tale Regione sulla materia è invece la n. 16 del 4 marzo 2010, “Interventi a favore delle persone con disturbi specifici di apprendimento (dsa) e disposizioni in materia di servizio sanitario regionale”, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
La non scientificità è provata dal fatto che le diagnosi di queste “malattie” vengono fatte attraverso test di scrittura, lettura e non con esami oggettivi di laboratorio, radiografie ecc., test alla cui base stanno teorie pseudoscientifiche quali: «…Se si calcola una media e alcune prestazioni sono sotto alla media al di là di una ragionevole variabilità… si parla di disturbo» (Che cos’è la dislessia: basi biologiche di Luisa Lopez, neuropsichiatra infantile).
I bambini di quattro, cinque anni ed oltre, delle Regioni su indicate, pur in presenza di un normale quoziente di intelligenza, verranno sottoposti nelle scuole a test, per determinare se ricadono o meno, fuori dai protocolli prestabiliti, così da incanalarli verso un percorso didattico diverso dagli altri, che prevede che non leggano più, ma ascoltino gli audio libri, che non scrivano più, ma utilizzino il computer, ed il correttore automatico, che utilizzino obbligatoriamente la calcolatrice per fare i calcoli, perché secondo “gli esperti”, di queste malattie non si guarisce.
Quanti bambini, attraverso un test, si vedranno negato il diritto ad una vera istruzione come sancito dagli Art. 3 e 33 della Costituzione?
In Lombardia addirittura è previsto per legge, che i ragazzini individuati DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) vengano diagnosticati e trattati nei centri UONPIA (Unità Operative di Neuropsichiatria Infantile).
Se queste leggi fossero esistite dieci, venti, trenta anni fa, quanti di noi a cinque, sei, sette anni sarebbero stati dichiarati “malati di dislessia, discalculia ecc.”? Quanti di noi sarebbero caduti fuori dai parametri stabiliti dalla neuropsichiatria infantile? Quanti avvocati, medici, giornalisti, ecc., avrebbero visto la loro carriera sfumare? Perché non si può diventare avvocato o commercialista andando nei centri UONPIA ad imparare a scrivere al computer e poi scaldando i banchi a scuola.
Nella mia esperienza di insegnante gli alunni frustrati, depressi e con difficoltà di relazione sono quelli che sono stati diagnosticati come portatori di questi disturbi, l’offesa e la vergogna più grande che si può dare ad un bambino è dire che lui è incapace di fare cose ed è diverso dagli altri.
Cosa si sta in realtà cercando di fare? Si sta istituendo una fabbrica per creare incapaci? Una domanda sorge spontanea, se a detta degli “esperti” esiste questa “malattia” e di essa non si guarisce, come mai da che esiste la scuola gli studenti passando da una classe all’altra hanno corretto i loro errori nella scrittura, nella lettura e nel fare i calcoli, migliorato la grafia arrivando a carriere e professioni di prestigio?
Sono proprio le generazioni nate nel XXI secolo che sono portatrici di tali disturbi? Mentre le generazioni precedenti ne sono nati immuni? Forse è un nuovo virus congenito?
Tutto questo clamore e lavoro è stato fatto per avere qualche migliaio di bambini nei centri UONPIA da fare giocare con il computer e la calcolatrice, o la posta in gioco è più alta? La Regione Veneto ha già stanziato un milione di euro per questi interventi.
Di fatto si sono aperte le porte della scuola a screening di massa e schedature neuropsichiatriche attraverso le quali qualsiasi bambino è a rischio di una diagnosi di disturbo mentale perché non rientra nei parametri prestabiliti.
C’è il reale pericolo che le scuole diventino bacini per il procacciamento di nuovi clienti, l’istruzione venga ingabbiata da parametri neuropsichiatrici attraverso i quali venga stabilito chi dovrà proseguire gli studi regolarmente e chi no perché riconosciuto incapace, attraverso un test.
Si parla di dislessia in caso di difficoltà significativa nell’apprendimento della lettura in presenza di un livello cognitivo e di un’istruzione adeguati e in assenza di problemi neurologici e sensoriali. I bambini con dislessia sono intelligenti, non hanno problemi visivi o uditivi, ma non apprendono a leggere in modo sufficientemente corretto e fluido: infatti le loro prestazioni nella lettura risultano nel complesso molto al di sotto del livello che ci si aspetterebbe in base all’età, alla classe frequentata e al livello intellettivo generale. Queste difficoltà solitamente condizionano anche in modo pesante le prestazioni scolastiche.
Spesso alla dislessia sono associate ulteriori difficoltà, quali la disortografia, la disgrafia e, a volte, lievi difficoltà nel linguaggio orale (fatica a recuperare termini appropriati o a memorizzare parole nuove) e nel calcolo (soprattutto mentale, oppure nella memorizzazione delle tabelline).
Il problema della dislessia risulta evidente in seconda-terza elementare (alcuni segni si possono per altro già osservare nella scuola materna, come la presenza di significative difficoltà nel manipolare i suoni nelle rime, nelle filastrocche…).
Non sempre gli approfondimenti diagnostici vengono svolti tempestivamente (ancora tanti bambini accedono infatti ai servizi alla fine della scuola elementare o alla scuola media), a causa di una sbagliata interpretazione o sottovalutazione del problema. Si parla ad esempio ancora di pigrizia, demotivazione o disagio psicologico, problemi che senz’altro a volte possono essere associati al disturbo, ma che rappresentano dei correlati o delle conseguenze della dislessia, non la causa. Per ridurre l’interferenza di tali disturbi, è possibile ricorrere all’ausilio di strumenti compensativi e dispensativi, appositamente previsti dalla normativa italiana, ma attualmente poco usati.
Ad occuparsi di questo, nel nostro Paese, vi sono organizzazioni come l’AID (Associazione Italiana Dislessia) o forum come Dislessia On Line. Si legga anche, nel nostro sito, la specifica scheda raggiungibile cliccando qui.
– Quando le lettere diventano dispettose, disponibile cliccando qui.
– Dislessia, autonomia e informatica, disponibile cliccando qui.
– Disgrafia: quei disagi di confine (Diomira Pizzamiglio), disponibile cliccando qui.
– E la scuola che voleva don Milani?, disponibile cliccando qui.
– La dislessia infantile, disponibile cliccando qui.
– Gli audiolibri e la dislessia, disponibile cliccando qui.
– La dislessia (Maria Luisa Lorusso, Antonio Salandi, Cecilia Marino e Massimo Molteni), disponibile cliccando qui.
– Dislessia: il libro parlato funziona, disponibile cliccando qui.
– Una petizione a tutela dei ragazzi dislessici, disponibile cliccando qui.
– Dislessia in Friuli Venezia Giulia: a che punto siamo?, disponibile cliccando qui.
– Lo Sportello Dislessia Ferrara, disponibile cliccando qui.
– Vorremmo solo poter studiare come gli altri…, disponibile cliccando qui.
– La bocciatura di quel ragazzo con problemi di dislessia, disponibile cliccando qui.
– Si va finalmente verso l’approvazione della legge sulla dislessia?, disponibile cliccando qui.
– L’emozione di rivederlo con un libro in mano, disponibile cliccando qui.
– Quante affinità, tra quelle storie di dislessia! (Massimo Rondi), disponibile cliccando qui.
– Dislessia: una questione di civiltà (AID), disponibile cliccando qui.
– E se Percy Jackson diventasse compagno d’avventura di tanti ragazzi dislessici?, disponibile cliccando qui.